È incredibile come questo Festival, gestito dal direttore - presidente Francesca Nodari, con un’energia fisica e intellettuale fuori dal comune, innalzi, anno dopo anno, l’asticella della qualità e della quantità. Gabriele Archetti presidente di Fondazione Cogeme e Giancarlo Pallavicini, membro accademico della Federazione Russa, portano il saluto con le istituzioni municipali.
Tante le persone, più del solito, nonostante, dicevamo, i fulmini e le saette, avanti e indietro, dal monte Orfano. Stefano Zamagni, economista internazionale, affronta quattro ambiti di indagine: la condivisione del lavoro, del reddito, della gioia di vivere e della democrazia. Il relatore cita il grande libro del 1944 di Carl Polany, «La grande trasformazione», riferendo sui poli delle mutazioni nelle prime due rivoluzioni industriali.
Modelli. Dice Zamagni, si è passati dal modello della piramide al modello della clessidra che si restringe nel mezzo, perdendo il vertice: c’è bisogno perciò
d’una squadra in grado di muoversi nelle specialità. Ma gli specialisti sono introvabili, gli esperti difficilmente rintracciabili. Avverte sull’incremento delle disuguaglianze, contrariamente a quanto avviene nei paesi asiatici. Ma ad est del mondo, la democrazia non è mai nata e la crescita è drogata da questa assenza di valore.
L’uscita di sicurezza da queste disuguaglianze si trova quando la ricchezza sarà denudata della sua illusione, essa non dà gioia. «I soldi - sostiene Zamagni- non rendono felici le persone; la felicità sta nel rilanciare le relazioni umane...». L’ esempio riguarda l’avaro, che taglia i legami con gli altri e non fa altro che contare gli averi fino alla morte. L’utilità è diversa dalla gioia.
Zamagni, tra i maggiori esponenti dell’economia civile, rimette al centro i beni relazionali: la famiglia, i figli, gli amici, lo stare insieme, la condivisione di gioie e dolori. «Il paradigma della ricchezza come centralità della vita umana - insiste - ha mostrato la sua debolezza, va cambiato il paradigma, la ricchezza non può mettere a rischio la relazione umana».
Democrazia. L’ultima parte della lezione si riferisce alla questione della democrazia. Grandi popoli e grandi terre non conoscono la democrazia: Cina, India,
Russia, Turchia e molte altre nazioni hanno escluso la libertà al loro interno e ci rimproverano di essere in crisi economica, ci fanno lezione sulle loro sicurezze finanziarie e sul nostro debito. Dichiarano più o meno esplicitamente: «Noi facciamo a meno della democrazia e voi, con la vostra tanta democrazia, tenetevi stretto il vostro malessere sociale ed economico ». Paradossale, kafkiano, insostenibile.
La proposta di Zamagni è chiara: «Non appartengo alla schiera di chi afferma che si stava meglio quando si stava peggio. Non sono d’accordo con chi vede nel nostro tempo la fine di tutto. Dobbiamo assicurare ai giovani la dignità di un posto di lavoro, il valore che la ricchezza non produce gioia di vivere. Non vanno lasciati soli, i giovani, a guardare l’altro, dobbiamo condividere il nostro e loro sguardo e credere in una gioia di vivere equilibrata da una maggiore forza delle relazioni umane».
Zamagni prende in prestito Tagore per annunciare l’alba di un ricominciare: «Quando il sole tramonta non piangere perché le lacrime ti impedirebbero di vedere le stelle».