Non ha bisogno di molte presentazioni, Enzo Bianchi. L’ex priore della Comunità monastica di Bose, in provincia di Biella, è una delle personalità più conosciute del mondo cattolico italiano: come scrittore, teologo, commentatore. Anche per la sua forza “profetica”.
Ad ascoltarlo, l’8 giugno scorso, nella Cattedrale di Asola, c’erano seicento persone. E questo elevato numero sta a indicare la popolarità di cui Bianchi gode presso il pubblico. L’ex priore era stato invitato a parlare nell’ambito della tredicesima edizione del Festival dei filosofi lungo l’Oglio, una manifestazione ricca di eventi e di volti noti, che quest’anno ruota attorno al tema “condividere”. A Bianchi è stato affidato l’approfondimento della parola “insieme”, che egli ha saputo declinare soprattutto nella prospettiva del “bene comune”.
Dopo le presentazioni di Luisa Genevini, assessore alla Cultura di Asola, e di Francesca Nodari, direttrice del festival, ha preso la parola Enzo Bianchi. Con la sua caratteristica voce tonante e persuasiva, il monaco ha esordito affermando che «siamo nel pieno della crisi»: una crisi economica e politica, ma anche sociale, culturale ed etica, che da almeno due decenni sta producendo «barbarie», cioè situazioni contro la «vita buona». «La barbarie si sta estendendo in Europa – ha aggiunto – e, insieme alla democrazia, mina quelle libertà che avevamo acquisito per il vivere comune».
Il grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, morto lo scorso anno, affermava che «è in crisi la parola insieme»: ciò si manifesta nella frammentarietà, nel non essere capaci di arrivare a delle convergenze e nella insufficiente rilevanza della dimensione della polis (“città”, in greco). «Perché siamo arrivati a un livello così profondo di crisi – si è chiesto Enzo Bianchi – e come cercare dei cammini di uscita?», che poi sono cammini di umanizzazione, verso una vita sociale migliore.
Per individuare tali percorsi non si parte dal nulla, in quanto abbiamo davanti a noi la Costituzione repubblicana e l’eredità umanistica e cristiana. L’ex priore di Bose invita a ripensare due aspetti: il bene comune e il condividere all’interno della comunità. «Il bene comune è l’insieme delle condizioni che favoriscono il benessere, la cultura, la democrazia e la qualità della vita. Ne è destinataria la persona che vive all’interno della società». Ma, in epoca moderna, l’economia e il mercato (che guardano solo al flusso del denaro) hanno avuto il sopravvento sul bene comune, ponendo sempre di più l’individuo al centro dell’attenzione.
Com’è possibile la polis senza il bene comune, senza quei beni materiali e immateriali che puntino alla ricerca di qualcosa di buono per tutti i cittadini? Enzo Bianchi si è quindi soffermato sul concetto di comunità, ricordando che la fraternità è «il primo nome dato alla Chiesa». E comunità vuol dire «dono vissuto insieme», il che implica spirito di condivisione e di responsabilità. Nelle sue lettere, san Paolo insiste sulla parola «insieme»: lavorate insieme, vivete insieme, soffrite insieme, rallegratevi insieme. «Insieme, cioè sempre in una logica di comunione». La comunione/comunità richiede una presenza di ascolto e di accoglienza, una presenza che si basa sul dedicare del tempo agli altri. «Dio ci è Padre perché siamo tutti fratelli e figli con la stessa dignità. Io sono in quanto mi metto a disposizione per gli altri. Papa Francesco insiste sul fatto che l’incontro con l’altro deve avvenire faccia a faccia, corpo a corpo. Non ci saranno facilmente perdonati i peccati di omissione nei confronti dei nostri fratelli».
Alla fine, un invito a resistere alla barbarie e alla mentalità narcisistica oggi così diffusa, «valorizzando l’eredità umanistico-cristiana che ci può dare una vita più buona e una convivenza più bella». Enzo Bianchi pensa anche ai suoi 75 anni – ha appena pubblicato il libro La vita e i giorni. Sulla vecchiaia (Il Mulino) – e ringrazia tutti coloro con cui ha vissuto insieme. «Solo così si raggiunge la felicità».