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Venerdì, 20 Ottobre 2017 05:07

PERCHÉ NON SI DEVE DIMENTICARE

Perché non si deve dimenticare? La proposta di legge Fiano contro l'apologia del fascismo - già passata a Motecitorio e di cui si discuterà questa sera a Padernello - si connota, oltre che per le innovazioni rispetto alla Legge Scelba del 1952, per l'introduzione di un aspetto strettamente etico-morale. Non pare un caso che il proponente sia il figlio di un sopravvissuto della Shoah. Il padre dell'on. Emanuele Fiano, Nedo, matricola A5405, venne catturato a Firenze dalla polizia fascista il 6 febbraio 1944, rinchiuso nel carcere della sua città perché ebreo, successivamente trasferito nel campo di transito di Fossoli e deportato con undici membri della sua famiglia ad Auschwitz. Nedo sarebbe stato l'unico superstite. A lui si deve la testimonianza ininterrotta e dolorosa di quei tempi dove, davvero, pareva che Isacco fosse stato immolato.

Se è vero come è vero che che il verbo zakhar - da cui la parola Zakhor: «Ricorda» -ricorre nella Bibbia non meno di 169 volte e se è vero che, secondo E. Fackenheim, «Auschwitz fu il tentativo supremo, il più diabolico che sia mai stato fatto di uccidere il martirio» allora ne viene che il precetto codificato dal rabbino Y. Nissenbaum nel ghetto di Varsavia ovvero che alla santificazione del nome doveva seguire -contro la celebrazione della morte e la rassegnazione - la santificazione della vita, trova una sua trascrizione pratica allora come oggi nella resistenza attiva e incarnata al male gratuito, perché il Leviatano si può sempre risvegliare. Di qui il configurarsi di questa legge come un atto concreto di Zackhor, tentativo di catarsi che si fa esemplare per la compostezza e insieme la perseveranza, o forse sarebbe meglio dire, la biblica pazienza così intimamente intrecciata alla sofferenza per un passato che resta indelebile dal non sottrarsi al pubblico agone, dove v'è chi osa, in maniera blasfema, schernire, insultare, colpire chi ci ricorda che il non dimenticare deve diventare un imperativo quotidiano. Sarebbe riduttivo limitarsi a celebrare il 27 gennaio come se fosse un debito di coscienza assolto. Tanto più oggi che viviamo nell'era della post-memoria. Un interrogativo sorge impellente: ora che, per ragioni anagrafiche, i testimoni se ne stanno andando uno ad uno, possiamo dirci all'altezza della sfida o ci limiteremo a conservare dei files dei loro libri e delle loro testimonianze nei recessi del Cloud? Basterà questa memoria virtuale? La risposta migliore sembrano fornirla i nipoti dei testimoni che, in Israele, fanno la fila per farsi tatuare il numero di matricola dei propri cari sul loro braccio. Da pelle a pelle, quasi la memoria acquisisse una sua matericità.

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