Ci può anticipare le linee del suo intervento?
«Mi soffermerei sulle ultime due parole, dono e perdono. Il perdono è il dono più grande, la più irrazionale delle proposizioni della mente. Aver subito un torto, una violenza, una sopraffazione e perdonarla è qualcosa di asimmetrico. Tra tutti i doni possibili è il più improbabile. Perdonare qualcuno che mi ha tolto qualcosa che era già mio, è certamente tra tutti i comportamenti quello più irrazionale che si possa immaginare, il più apparentemente illogico, ma anche il più umano dei comportamenti umani. Senza perdono infatti non ci può essere pace. E senza pace non ci può essere vita».
Siamo sempre all'interno della contrapposizione tra natura e cultura?
«Noi tenderemmo ovviamente ad ascrivere il perdono alla cultura, perché la natura è poco propensa a perdonare nelle sue durezze leopardiane, sensiste o darwiniane. La natura presenta sempre il conto da pagare. Per quanto gli etologi, che studiano i comportamenti dei nostri parenti geneticamente vicini come le scimmie antropomorfe faccio riferimento al saggio di Frans De Waal, Far pace tra le scimmie (Rizzoli) abbiano rilevato che alcune specie, i bonobo per esempio, assai simili a noi, abbiano atteggiamenti che sembrano incarnare le nostre migliori qualità: generosità, gentilezza, altruismo. Per queste scimmie africane il sesso non è funzionale alla sola riproduzione, ma è praticato per il piacere che dà e perché rafforza i vincoli sociali».
Questo farebbe pensare che c'è una «intelligenza sociale» molto radicata nel nostro Dna.
«Senza spingerci troppo in là, la saggezza dei nonni diceva che chi ha la testa, ce la deve mettere. Tendere la mano non è un gesto di debolezza, anzi è vero il contrario, è un segno di forza. Quando Gesù sulla croce dice "perdona loro perché non sanno quello che fanno", o quando propone l'evangelico e folle porgere l'altra guancia, evidentemente propone un comportamento che è fortemente evolutivo rispetto agli schemi precostituiti della nostra sensibilità. L'educazione al perdono nella famiglia, nella coppia e nella relazioni è basilare per poter garantire l'equilibrio. Il tema del dono è molto più esplorato, ma il perdono rimane il più difficile dei doni».
Nella cronaca nera, che lei commenta in televisione, quanto c'è di informazione e
quanto di morbosità?
«Un vecchio giornalista, Nino Nutrizio de La Notte, diceva che l'ascolto popolare è mosso dalla legge delle tre esse: soldi, sangue e sesso con tutte le implicazioni di gossip e voyeurismo. L'effetto finestra, il desiderio di guardare gli altri è una tentazione da sempre irresistibile, umanissima. Del resto non dimentichiamo che abbiamo costruito una società organizzata, proprio perché ci siamo occupati dell'educazione degli altri. Considero naturale che la cronaca entri nel campo dell'informazione. Non nego che la mediatizzazione dei processi abbia prodotto un incurvamento della storia penale. È una sorta di vibrazione di massa: una volta che ci si convince che Sabrina Messeri è colpevole, Sabrina Messeri è colpevole».
Una anomalia che distorce la giustizia, un pericolo inquietante, non le pare?
«Ma la vita stessa è un pericolo. Il funzionamento della società lo è. D'altra parte fermare l'informazione è come pensare di fermare l'aria con le dita. Nelle società totalitarie succede di peggio. I processi mediatici son sicuramente una distorsione, non un fenomeno
generale. Dopo il caso Franzoni, ci sono stati circa duecento figlicidi. Non è che tutti hanno avuto addosso le luci della ribalta mediatica».