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Sabato, 25 Giugno 2016 01:21

L'incontro con il pensatore veneziano

Cacciari: «Se il perdono è dono all'ennesima potenza». Folla a Chiari per la serata dei Filosofi lungo l'Oglio dedicata al tema della «Gratuità»

Massimo Cacciari è scrutato da centinaia di persone ai piedi dell'abside di S. Maria Maggiore a Chiari, curato da Francesca Nodari leader dei Filosofi lungo l'Oglio. Cacciari è avvolto da un mantello di attenzione silenziosa, parla di Gratuità, riascolta Socrate, Platone, Tucidide, Marziale, Spinoza, Manzoni, ma alla fine, per parlare da solo con la Gratuità, con il tema dei temi, ha bisogno di altro. Dice: «Devo precipitarmi nel Vangelo, perché qui la Gratuità è trattata alla radice, in modo radicale». Forse sta qui, il fascino attrattivo di Cacciari, che sposta migliaia di persone e le intrattiene su questioni a volte comprensibili e a volte no, sta nell'esaltazione del dubbio, nella sconfitta del dogmatismo, nel sedersi normalmente accanto a chi viene da sud e da nord, con il suggerimento che siamo tutti uguali per una uguale incertezza del nostro destino. Nonostante la certezza di un carattere spigoloso, il professore veneziano di Filosofia morale annuncia, sempre in crescendo, la bellezza instabile della ragione e la stabile presenza della luce. Del resto, se non ci fosse quella Luce, come dice Agostino, nessuno di noi si salverebbe dall'inferno. Non sarà questo il patto con le migliaia di persone, il patto contro i demoni, ragionando, evitando apologie, iscrivendosi tutti, umilmente, all'indagine filosofica, ciascuno come può?

Cacciari conosce l'intrigo del dono, lo ha studiato nei suoi libri, ne ha spolpato la natura accanto al Priore di Bose, Enzo Bianchi, insieme hanno creato un libro, «Ama il prossimo tuo». Non si illude sulla limpidezza del dono, è sempre uno scambio vissuto tra noi e spesso si esalta in una bruttezza che sporca quando siamo davanti a quel dono esagerato, che costringe il ricevente a non essere in grado neppure di ricambiare, un dono schiacciante. «Soltanto la morte non vuole doni», ricorda Eschilo, Socrate si salva con un aggancio stretto alla filosofia, la sola a rimanere vergine dallo scambio, però predicatrice e non attrice. Esisterebbe - riflette il prof. Cacciari - un momento di speranza umana del dono senza scambio, ma è fuori dalla regola, è il «dono paradossale», accade ogni tanto e non detta comportamenti, isolato, folle, «ricevo un dono senza contraccambio». Ma appena la luce del giorno cade su S. Maria Maggiore, imprestata da mons. Verzelletti e salutata dall'assessore Laura Capitamo, punteggiata perfino dalle decorazioni pubblicitarie, quando non rimane che la sospensione dell'aria, l'ossigeno si riduce e le carte fanno da ventaglio, come ai tempi di un razionalismo illuminista che qui si carica di un barocco a scendere da colonnati ricchi di fregi dorati e altari con dipinti settecenteschi di notevole fattura, il prof. Cacciari invoca un'altra Luce alla base del dono. È la Luce della Grazia, essenza della Gratuità, la Luce dono di Grazia, arriva senza ragione, arriva e basta, non ha perché e non è dogma. Cita Matteo: «La luce riceve, così dà. Date come dà la luce». Il dono umano non è altro che un riflesso, un'immagine, un'icona della Luce di Grazia. Il dono della Luce, perfeziona Cacciai, potrebbe essere chiamato Per-dono, un dono all'ennesima potenza, che diventa la Gratuità della Fede. Noi, stringe alle corde il professore di Venezia, siamo chiamati a questo dono di Grazia? C'è un pertugio, là in fondo e pare un lumicino della grande Luce. Indica i fattori della misericordia - quasi un club di straccioni, potremmo iscriverci, se vogliamo - nelle Beatitudini ricevono quello che hanno donato, né più né meno. Loro sono già Luce, sono Beati, sono Dio. In terra, questi misericordiosi si leggono bene all'anagrafe di Dostoevskij, si chiamano «Idiota», Alioscia, sono dei matti, non salvano nessuno ma perdonano e ci regalano il dono di comprendere il male, di vedere le nostre miserie. Loro, i misericordiosi, i forsennati dell'umiltà, disegnano la mappa in cui ci sono gli abissi da evitare, le buche scavate dalla nostra dissennatezza, indicano una via tortuosa, di Luce. Cacciari vive bene nei versetti del Vangelo, nelle righe dei fratelli Karamazov. Sta come tutti noi, evitando la sintesi rabbiosa di Quasimodo, «Ed è subito sera», va in cerca di Luce e in tanti ci stanno.

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