Oggi, mercoledì, alle 20.45, nel Salone Bevilacqua della Pace (in via Pace 10, in città; si parcheggia entrando da Contrada del Carmine - via Marsala - Vicolo delle Vidazze), è in programma l’atteso incontro intitolato: «Quale dialogo tra le religioni?», promosso dalla Ccdc (Cooperativa cattolico-democratica di cultura) in collaborazione con l’Ufficio Pastorale per l’Ecumenismo e i Padri della Pace.
Relatore d’eccezione sarà Bernhard Casper, professore emerito all’Università di Friburgo. Per l’occasione lo abbiamo incontrato. Ricordo della prima volta a Brescia La conversazione prende avvio da una serie di ricordi importanti: la prima volta che venne a Brescia con il maestro Welte nel 1961, per visitare «i tesori paleocristiani di San Salvatore», poi i grandi incontri: il seminario e il corso di logica con Heidegger, l’amicizia profonda con Lévinas, che gli dedicherà uno dei suoi ultimi testi, «Nell’ora delle Nazioni», con queste parole: «Al professor Bernhard Casper, teologo e filosofo, amico dal cuore grande e dall’alto pensiero ».
Dopo tali premesse, una domanda sembra d’obbligo: secondo il più autorevole esperto del pensiero dialogico, che cosa si deve intendere, oggi, per dialogo?, chiediamo al prof. Casper. «Inizierei con il precisare - risponde - che una buona teologia ha sempre bisogno di due occhi: l’uno sistematico, l’altro storico, e che la fede cristiana necessita sempre di una esplicazione "ragionevole". La filosofia classica e l’elaborazione del pensiero dei padri medievali si sono, da subito, poste il grande interrogativo: «che cosa è l’essere assoluto?», collocandosi in quell’orizzonte dell’essere che impone all’uomo di porsi sempre questa domanda.
Questa metafisica è divenuta, pertanto, il mezzo per esplicitare l’atto della fede nella grande epoca che da Aristotele e Platone giunge aHegel. Poi con l’empirismo e con la teorizzazione di una scienza che rende l’uomo signore e padrone della natura si è cominciato a pensare la realtà more geometrico, con conseguenze tuttora ben visibili».
Del progresso scientifico
«Se non si può negare - prosegue il filosofo - che il progresso scientifico abbia condotto a risultati importanti, essi proprio perché esposti nella forma di evidenze atemporalmente valide, non dicono, tuttavia, cosa si debba realmente fare, ponendo il soggetto nella difficoltà di scegliere tra possibilità meramente formali. Per uscire da una tale aporia, che determina l’attuale disorientamento dell’uomo, si deve ricorrere a quella fenomenologia del linguaggio che ebbe la sua svolta decisiva già nell’800 per arrivare, con Humboldt, alla constatazione che per parlare si ha bisogno di due persone».
Fenomenologia del linguaggio
«Se si vuole, davvero, capire il linguaggio - prosegue il professore emerito dell’Università di Friburgo - lo si deve intendere «nel suo realissimo essere parlato». Condizione che implica l’incontro con l’Altro che, come me, è mortale e finito. Questo coincide con l’intuizione di Kant che conferisce, nell’economia della razionalità umana, il primato alla pura ragione pratica. Nella II formulazione dell’imperativo categorico si trova il fondamento dell’umanità. E il linguaggio stesso - sottolinea il grande filosofo - si mostra come umanità, a condizione che non degeneri nella strumentalizzazione dell’altro o in un tentativo di limitarsi a parlare soltanto con sé, chiudendosi in una sorta di autismo autoreferenziale».
Promuovere l’essere insieme
«Perché parliamo? - si domanda Casper -. In ultima analisi, per promuovere l’essere insieme degli uomini. Nel suo temporalizzarsi, l’uomo coglie nell’evento che si fa dialogo e preghiera la possibilità stessa di dire sì ad un accadimento della storia».
E il dialogo tra le religioni?, viene da chiedere. «Quando ho davvero una fede - risponde il prof. Casper -, sono tenuto a comunicarla e, quindi, sono già in dialogo. Come suggerisce San Paolo, il credente è chiamato a confessare quella parola salvifica alla quale, con la sua ragione, ha dato l’assenso. Richiamando, ancora, Kant: «Tutto il pensare è un dire, tutto il dire è un udire. Non solo, se io annuncio la mia fede come semplice cristiano, nel mettermi in dialogo con l’altro, devo prendere sul serio il suo credo e non constatare superficialmente che si tratta di mera idolatria».
Consapevolezza dei propri limiti
«Al contrario - aggiunge -, devo essere critico con il mio stesso modo di credere in un perfezionamento che richiede timore e apertura. La consapevolezza dei propri limiti - conclude Casper - è proprio ciò che mette in guardia da un abuso della religione e da un suo decadimento, poiché il pericolo di qualsiasi credo è la pietrificazione dovuta alla sola autoaffermazione». «Per questo - conclude allora il prof. Bernhard Casper - il dialogo con l’altro è indispensabile, un dialogo che oppone alla visione mistica dell’anima che parla con il suo Creatore, il monito agostiniano che ci ricorda come l’amore di Dio e quello del prossimo convergano in unità: in ogni mendicante amiamo lo stesso Cristo».