Giovedì 5 febbraio, alle ore 20.45, nell’Auditorium San Fedele, in Piazza Zamara a Palazzolo sull’Oglio (Bs) è atteso l’intervento di Cyril Aslanov, grande conoscitore di quello che, di fatto, è da considerarsi il primo genocidio del Novecento. Aslanov, di madre ebrea e di padre armeno – professore di linguistica all’Università Ebraica di Gerusalemne, poliglotta e conferenziere di fama internazionale – interverrà con una lectio magistralis dal titolo: Ad un secolo dalla tragedia armena. Ad Aslanov toccherà fare memoria attiva della persecuzione feroce di un popolo che fu il primo al mondo a dichiarare il Cristianesimo religione ufficiale del proprio Paese, nell’anno 301.
Secondo la tradizione la fondazione della Chiesa armena viene fatta risalire a Taddeo e Bartolomeo, ma fu solo all’inizio del IV secolo che San Gregorio Illuminatore battezzò il re armeno Tiridate III. Da allora il Cristianesimo è diventato il pilastro dell’identità armena. Come è noto, il genocidio armeno si è svolto in due fasi principali. Il primo massacro (1894-1897) è legato alla figura del sultano Abdul Hamid II (da cui il termine “massacro hamidiano”), il quale volle punire una popolazione in rivolta ordinando terribili repressioni. Il secondo massacro (1915-1923), quello drammaticamente più importante, è invece legato al gruppo dei Giovani Turchi, che per mettere capo ai propri obiettivi nazionalisti pianificarono l’eliminazione sistematica della popolazione armena presente nel paese. Tutto ebbe inizio nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, quando nella città di Costantinopoli (l’odierna Istanbul) si verificò un improvviso rastrellamento degli intellettuali appartenenti all’élite armena presenti in città. In un solo giorno scomparvero quasi 300 persone appartenenti alla classe dirigente tra cui giornalisti, scrittori, avvocati e persino deputati al Parlamento.
Queste persone vennero deportate in Anatolia, e chi sopravvisse al duro tragitto venne massacrato una volta giunto a destinazione. Dopo aver eliminato la classe dirigente, il governo turco, con un decreto emesso sempre nel 1915, ordinò il disarmo di tutti i militari armeni arruolatisi per la guerra(circa 350.000), che vennero arrestati e massacrati. Infine il piano dei Giovani Turchi colpì l’intera popolazione armena dell’Anatolia, deportata verso la Mesopotamia. Presero avvio le terribili marce della morte che coinvolsero circa 1.200.000 persone. I Giovani Turchi uccisero senza pietà gli uomini e deportarono i bambini e le donne nel deserto siriano, dove morirono per la fame e per la sete. Totalmente abbandonati. Ad alcuni bambini vennero inchiodati ai piedi i ferri di cavallo. I beni sequestrati andarono ad arricchire alcune famiglie turche. Fu il Medz Yeghern, il ‘Grande Male’.
Tale orrore è stata dimostrato nel corso del tempo da varie personalità, tra le quali spicca lo studioso di origine ebraica Yehuda Bauer, che nel suo libro The Place of the Holocaust in the Contemporary History, definì il genocidio armeno il caso che più si avvicina alla Shoah o come il giurista polacco Raphael Lemkin – onorato nel Giardino dei Giusti di Brescia nel 2013. Lemkin dedicò la sua vita allo studio dei crimini contro l’umanità, ponendo le basi di un’assunzione di responsabilità degli Stati che ha portato all’istituzione del Tribunale Permanente dei Popoli. Dopo aver conosciuto lo sterminio degli armeni e la ferocia perpetrata dai nazisti in quel ‘contro evento’ che fu la Shoah, esule negli Usa, coniò il termine genocidio fatto proprio dall’Assemblea generale dell’Onu il 9 dicembre 1948. Infine non ci si può esimere dal ricordare un’altra figura eminente, Armin Wegner – poeta e intellettuale tedesco, testimone di verità per gli armeni e per gli ebrei – che eludendo i divieti delle autorità turche e tedesche, ha scattato centinaia di fotografie nei campi dei deportati, documentando, anche con lettere e diari, la tragedia del popolo armeno. Sull’argomento si segnala il pregevole testo edito in questi giorni dalla casa editrice Giuntina: Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno, che si avvale dell’autorevole prefazione di Antonia Arslan e dell’altrettanto efficace postfazione di Fulvio Cortese e Francesco Berti (traduzione di Rossanella Volponi) raccoglie, per la prima volta in Italia, le voci di eminenti personalità: da Lewis Einstein (I massacri armeni), a André Mandelstam (La Turchia), da Aaron Aaronsohn (Pro Armenia) a Raphael Lemkin (Dossier sul genocidio armeno).
CHI È CYRIL ASLANOV
Cyril Aslanov è stato allievo all’École Normale Supérieure di Parigi. Ha svolto il dottorato di ricerca all’Università di Paris-IV (1992) e la sua su Habilitation à Diriger des Recherches all’Università di Paris 7-Denis Diderot (2001). Dal 1992 insegna linguistica all’Università Ebraica di Gerusalemme, dove è diventato professore associato nel 2003. Dal 2006, è membro dell’Accademia della Lingua Ebraica e dal 2007, direttore accademico dell’International Center for the University Teaching of Jewish Civilisation. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo: Pour comprendre la Bible: la leçon d’André Chouraqui, Éditions du Rocher, Monaco 1999; Le provençal des Juifs et l’hébreu en Provence: le dictionnaire Šaršot ha-Kesef de Joseph Caspi, Peeters, Leuven-Paris 2001; Evidence of Francophony in Mediaeval Levant: Decipherment and Interpretation (MS. BnF. Copte 43), The Hebrew University of Jerusalem Magnes Press, Jerusalem 2006; Le français au Levant, jadis et naguère: à la recherche d’une langue perdue, Honoré Champion, Paris 2006; Parlons grec moderne, L’Harmattan, Paris 2008; Sociolingüística de las lenguas judías, Lilmod, Buenos Aires 2011. Dal 2014 lavora al Van Leer Institute di Gerusalemme come direttore della sezione « Mediterraneo», dove si dedica allo sviluppo di progetti culturali capaci di contribuire all’avvicinamento delle nazioni del Mediterraneo. In questa funzione contribuisce ad una migliore conoscenza del popolo armeno nella società israeliana, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica israeliana alla necessità di riconoscere il genocidio degli armeni.