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Mi spiace veramente – per motivi precauzionali di salute – non poter essere presente, come invece sempre in passato, con voi al Binario 21, in questa ormai tradizionale e sofferta Giornata di ricordo, finalmente inserita all’interno del realizzato Memoriale milanese della Shoah, voluto anni or sono e da tempo atteso. La Shoah paralizza il pensiero: si tratta di una verità non facile da comprendere e a da spiegare. Prova ne è il fatto che, solo dopo alcuni decenni, il pensiero dei testimoni si è, per così dire, “sbloccato”, iniziando essi a raccontare.
Si è trattato e si tratta di un “pensiero narrativo”. Gli ebrei, settant’anni fa –iniziando tuttavia ben prima la barbarie nazista-, hanno conosciuto e sperimentato il “male assoluto”, nella sua ferocia, nella sua radicalità, nel suo essere “assordante” e onnipervasivo. La Shoah nella sua unicità ha creato uno spaventoso spartiacque nella storia umana. Esiste un prima, esiste un dopo. Le caratteristiche specifiche, tuttavia, della Shoah sono tante e tali che la sua comprensione ultima ci può sfuggire. Auschwitz è il luogo estremo, l’abisso senza ritorno, ove l’umanità è sprofondata. Esiste un solo, drammatico precedente, in cui sono presenti alcune della tremende caratteristiche –non tutte- proprie della Shoah: il genocidio perpetrato contro i cristiani armeni cento anni fa. La realtà dell’unicum della Shoah è quasi impossibile restituirla con le parole; essa può essere solo evocata per via indiretta e obliqua. Tuttavia, pur consapevoli di questa quasi impossibilità di parlare di Auschwitz, sentiamo che parlarne è un’esigenza dello spirito che si realizza in un imperativo categorico morale, civile e politico. Rinnovarne il ricordo è l’unico modo che ci rimane per tentare riscatti, seppur postumi, del genere umano, di quel genere umano che ha consentito che Auschwitz esistesse e profanasse, assieme all’uomo, l’immagine stessa di Dio, impressa in ogni essere umano. Nonostante il passare del tempo, che fatalmente tende a diluire e a consumare qualsiasi memoria, anch’io, come molti di voi, ero convinto dapprincipio che la Giornata della Memoria potesse formare utili “anticorpi” in relazione al cancro dell’antisemitismo.
Purtroppo –ed è evidente- così non è stato: gli ebrei, ivi doverosamente e chiaramente inclusi gli israeliani, nonostante le tante Giornate della Memoria celebrate in Occidente, sono stati lasciati soli per anni in Europa: a Tolosa, a Bruxelles, a Parigi con il tremendo caso “Halimi”, ragazzo seviziato per ben venti giorni e ucciso pochi anni fa, sempre da estremisti islamici. Ebbene, chi ha manifestato massicciamente e vibrantemente allora? Chi si è indignato in Francia, in Belgio, in Italia tra coloro che normalmente hanno preso parte o prendono parte –in un modo o nell’altro- alle Giornate della Memoria nelle sue varie edizioni? Quanti capi di Stato o di Governo hanno sfilato in piazza per gli ebrei assassinati? Antisemitismo, antisionismo, israelofobia: si tratta di una nuova miscela esplosiva, di nuove sinonimie. È questa, purtroppo, un’amarissima verità della storia contemporanea degli ebrei di Europa. E una nuova tenebra sta sorgendo.
Occorre che, con urgenza, si esca dall’ambiguità. Chi non è disposto a declinare l’indignazione postuma per l’assassinio sistematico di sei milioni di ebrei settanta anni fa in un’azione e un impegno contemporanei a favore degli ebrei viventi oggi, tanto in Diaspora che in Israele, è meglio che stia a casa e non prenda parte alle iniziative per la Giornata della Memoria. Nella contingenza etica, culturale, politica e spirituale disperante in cui siamo inseriti, per non fare collassare ancora una volta tutto in modo irrimediabile, occorre non rinunciare a pensare e ad agire di conseguenza. Ma occorre anche e soprattutto, nel ricordo sacro dei nostri morti, chiedere a Dio di ispirare nei cuori dei governanti, degli intellettuali, degli uomini di fede e di chi ha responsabilità nei confronti delle collettività, impegno coraggioso, lungimirante e responsabile, controcorrente, genuino ed intenso, verso l’abbandono delle ambiguità e verso una reale e matura pacificazione delle persone e degli Stati, onde possa iniziare un ciclo esistenziale nuovo, caratterizzato da tranquillità di vita e dalla reciprocamente riconosciuta dignità propria e altrui.
Un saluto affettuoso a tutti i presenti, Shalom.
Rav Prof. Giuseppe Laras, Presidente del Tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia