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Martedì, 19 Gennaio 2021 18:26

DAL 20 AL 27 GENNAIO PER NON DIMENTICARE LA SHOAH AL VIA “LA MARATONA DELLA MEMORIA” PROMOSSA DALLA FONDAZIONE FILOSOFI LUNGO L’OGLIO CON UNA SERIE DI INTERVENTI ONLINE SUL PROPRIO SITO E CANALE YOUTUBE

Paolo De Benedetti - La memoria di Dio Paolo De Benedetti - La memoria di Dio

TRA LE VOCI AUTOREVOLI CHE ARRIVANO DAGLI ARCHIVI DELLA FONDAZIONE ANCHE QUELLE DEGLI SCOMPARSI PAOLO DE BENEDETTI, AMOS LUZZATTO E RAV GIUSEPPE LARAS CON LE LORO IMPORTANTI TESTIMONIANZE E POI DAVID BIDUSSA GABRIELE NISSIM SALVATORE NATOLI MASSIMO GIULIANI E SIMONA FORTI PER “FARE INSIEME MEMORIA”

Dal 20 al 27 gennaio in occasione della Giornata della Memoria si terrà una straordinaria “Maratona della Memoria”, nell’eccezionalità del tempo pandemico segnato da solitudine e disorientamento e dall’impossibilità di tenere incontri in presenza. Si tratterà di una serie di interventi online promossi dalla Fondazione “Filosofi lungo l’Oglio” presieduta dalla filosofa Francesca Nodari, direttore scientifico del festival omonimo che quest’anno ha celebrato l’importante traguardo della XV edizione.

Mai come in questo momento storico la giornata della Memoria si carica di significato. Un monito quanto mai attuale per non dimenticare.

La “Maratona della Memoria” vuole essere un percorso capace di indagare da un punto di vista filosofico, storico, teologico, letterario che cosa è stata la Shoah per un importante momento di riflessione e di approfondimento che non può prescindere sia dell’attuale panorama geopolitico sia dallo spettro di un antisemitismo di ritorno proclamato a più voci dai cosiddetti negazionisti. Antisemitismo che non può non chiamarci in causa, tanto più in mondo globalizzato, complesso e in fermento animato da crescenti estremismi nazionalistici.

Con questo ciclo di interventi, la Fondazione Filosofi lungo l’Oglio” intende tenere desta l’attenzione e stimolare la discussione attraverso una pluralità di voci di illustri pensatori. E’ fondamentale rimarcare l’ineludibilità del “fare memoria” per la coscienza collettiva, per le nuove generazioni, per le inevitabili sfide che pone l’ingresso nell’era della postmemoria, quella in cui i testimoni oculari dell’orrore se ne stanno andando, ad uno ad uno, lasciandoci un imperativo, che suona quasi come una preghiera: «Non dimenticate».

Ogni giorno a partire dal 20 gennaio, per otto giorni dalle ore 10.00 sarà caricato un intervento video sul sito ufficiale della Fondazione Filosofi lungo l’Oglio https://www.filosofilungologlio.it/ e sul relativo canale YouTube https://www.youtube.com/channel/UCiuBYWXJWONHkRAAAsi-FBg.

Si inizierà mercoledì 20 gennaio con Paolo De Benedetti, uno dei maggiori e più originali studiosi contemporanei dell’Ebraismo, teologo e biblista tra i più raffinati, scomparso nel 2016. Ha insegnato Giudaismo alla Facoltà teologica dell'Italia settentrionale di Milano e Antico Testamento agli Istituti di scienze religiose delle università di Urbino e Trento. L’intervento proposto, e che fa parte dell’archivio della Fondazione Filosofi lungo L’Oglio, è una sorta di testamento spirituale dello straordinario biblista che parte dal suo libro La memoria di Dio curato da Francesca Nodari nell’edizione Mimesis 2020 per la collana “Tempo della memoria” e non ancora presentato al pubblico a causa dell’emergenza legata alla pandemia.

Professore, traduttore, uomo di confine, De Benedetti, servendosi di un’ermeneutica marrana, riflette sulla memoria di Dio, ove il genitivo è oggettivo e insieme soggettivo: è la memoria di Dio nei confronti dell’uomo e dell’uomo nei confronti di Dio. Un rapporto da leggersi in chiave bilaterale e che già è preludio del dialogo tra il Creatore e la sua creatura. Da qui il darsi della Sacra Scrittura in termini di un racconto dove gli attori sono Dio e l’uomo e insieme l’esplicazione della storia ebraica.

Nella prefazione al volume sottolinea Francesca Nodari come De Benedetti inviti La Chiesa a dialogare con sé stessa «a partire da una prospettiva giudaico-cristiana, per affrontare, il grande problema del male dopo Auschwitz. Una domanda – quella sollevata da Paolo De Benedetti – che andando oltre, la posizione meramente razionalistica o fideistica circa il silenzio di Dio e ponendo l’accento sull’aggettivo «quale», dà vita a una costellazione di ulteriori domande, spazzando via le facili certezze in un costante corpo con testi della Scrittura, della tradizione ebraica, della filosofia, della letteratura sulla Shoà».

«Nella Bibbia, spiega De Benedetti, si vede che Dio promette un nome durevole ai giusti e cancella il nome degli empi. In un certo senso, non si parla di pene dell’inferno o cose del genere, ma di cancellazione del nome. E il nome, nell’ebraismo, è quello che per noi è l’anima, la coscienza, l’identità, la psiche».

A una profonda riflessione sarà chiamato il pubblico anche giovedì 21 gennaio con l’intervento dello scrittore, giornalista, saggista e storico delle idee David Bidussa con L’era della postmemoria.

L’intervento contiene in sé un’indicazione e un avvertimento. Dopo l’ultimo testimone della Shoah occorre imparare a fare fino in fondo i conti con la storia. Il vero problema, come Bidussa sottolinea in modo chiaro, non risiede tanto e solo nel venir meno e nell’inevitabile spegnarsi di quelle voci e di quei volti che l’orrore l’hanno visto da vicino, ma nella presa d’atto che l’era della postmemoria implica. In altre parole cominciare a riflettere «su ciò che ereditiamo, sulle forme del sapere e della coscienza pubblica che abbiamo acquisito e, infine, su quale sia il rapporto che intratteniamo col passato. Su tutto il passato del Novecento, per riflettere nel presente».

L’elaborazione della memoria dei genocidi e dei crimini contro l’umanità che hanno attraversato il Novecento è prima di tutto un atto di responsabilità nei confronti del mondo in cui viviamo. A parlarne, venerdì 22 gennaio, sarà Gabriele Nissim saggista, scrittore, Presidente del Comitato per la Foresta dei Giusti-Gariwo onlus con l’intervento La memoria del bene che ci spiega come il ricordo è produttivo solo se diventa un antidoto. La memoria ha effetti educativi quando la riproposizione degli avvenimenti passati tenta di evidenziare insegnamenti universali. Proprio dalla memoria della Shoah è nata la Commissione dei Giusti di Yad Vashem, il cui animatore formidabile è stato il giudice Bejski, a detta di Nissim, il grande inventore della “memoria del bene” poiché con la sua ostinazione è riuscito a consegnare alla storia le vicende degli uomini che durante gli anni del nazismo non si piegarono alle leggi dell’omicidio legalizzato e furono capaci di salvare la dignità dell’uomo, nonostante gli eventi precipitassero verso la catastrofe.

Con Gabriele Nissim, in partnership con Gariwo, la Fondazione Filosofi lungo l’Oglio ha una feconda collaborazione che ha portato nel 2013 all’istituzione del Giardino dei Giusti di Brescia, nel 2015 a quella del Giardino dei Giusti di Orzinuovi e nel 2019 a quello di Barbariga.

Sabato 23 gennaio sarà ricordato il grande Amos Luzzatto, recentemente scomparso, con un suo straordinario intervento preso dall’archivio della Fondazione Filosofi lungo l’Oglio. Medico, scienziato e biblista, già presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e direttore della «Rassegna mensile di Israele» nonché presidente della comunità ebraica di Venezia e, fino alla sua scomparsa, membro della Giuria del Premio Internazionale di Filosofia/Filosofi lungo l’Oglio. Un libro per il presente.

Luzzatto vede nella Vanità della memoria il labile confine tra memoria e ricordo, tentando un accostamento a partire dalla radice trilittera ebraica ZKR per cercare di comprendere e far comprendere ciò che distingue l’allusione per così dire episodica da una concatenazione di fatti che sono chiamati a riempire le «stanze» della nostra memoria. Memoria che ordina, divide, conserva, elimina quanto ha immagazzinato. Ma la memoria è anche legata al materiale sul quale sono state impresse informazioni ritenute dalla nostra mente. Luzzatto non fa mai un riferimento diretto alla Shoah: un non detto che attraversa silenziosamente tutto il testo, quasi si temesse di tematizzarlo, quasi non lo si volesse racchiudere in una categoria ma, ci offre molto di più: gli strumenti per fare memoria.

Con la memoria educhiamo noi stessi a «diventare esercizio di resistenza e pratica di vigilanza» afferma invece Salvatore Natoli, uno tra i più importanti pensatori italiani, ordinario di Filosofia teoretica all’Università Milano-Bicocca e tra i filosofi contemporanei più apprezzati dal mondo ebraico, con l’intervento La memoria di Giobbe. Domenica 24 gennaio, arriva un nuovo spunto di riflessione per la platea virtuale della Fondazione Filosofi lungo l’Oglio: la sofferenza che interroga e chiama alla responsabilità. Il libro di Giobbe riguarda la «giustizia di Dio» e l'«enigma del male. Per quale ragione Dio ha permesso lo sterminio, quale è stato il motivo della sua apparente, suprema negligenza? Natoli risponde che Dio crea l'uomo a sua immagine e somiglianza, perciò lo crea libero, libero di compiere il bene o il male. È dentro l'esercizio della libertà che si scopre l'atto del bene e del male, sapendo che Dio è l'eterna possibilità di bene anche nel profondo della sofferenza. La memoria di Giobbe e la memoria dell'Olocausto si dichiarano responsabilmente libere ed efficaci alla resistenza morale contro la sofferenza personale e universale.

Si spinge oltre l’intervento di Massimo Giuliani che, lunedì 25 gennaio, propone un altro spunto di analisi per riflettere sulle Testimonianze dall’abisso. Perché sperare dopo Auschwitz?. Professore associato di Studi Ebraici e di Ermeneutica filosofica all’Università di Trento e Visiting Associate Professor nel dipartimento di Filosofia e di Studi religiosi della George Mason University (Usa), Giuliani, invita a una presa di coscienza, all'esercizio indispensabile di una «ragione etica» cercando di mostrare, fattivamente, come e perché si debba sperare dopo Auschwitz. Il suo è un richiamo alla «tenacia della vita». Quella stessa tenacia che dimostrarono gli ebrei negli anni bui e funesti della Shoah. Anni in cui non era più dato morire da individuo, ma come ridotto a “tipo della specie” e nei quali la distinzione tra vita e morte, «tra l’essere-ancora-qui e il non-essere-più», si era fatta terribilmente ambigua. Labile. Incerta. «La resistenza al mondo dell’Olocausto, che è un novum della storia, è a sua volta un novum», al punto da diventare categoria ontologica: essere testimoni del male radicale, «non significa comprenderlo o trascenderlo, ma piuttosto dirgli di no, resistergli.

Per l’occasione, martedì 26 gennaio sarà ricordato, con un importante intervento tratto dall’archivio della Fondazione Filosofi lungo l’Oglio, Rav Giuseppe Laras, scomparso nel 2017 e tra i 5 rabbini più influenti al mondo. Per oltre 25 anni rabbino capo di Milano, presidente della Fondazione Maimonide nonché figura chiave, nel panorama nazionale, del dialogo ebraico-cristiano, sulla scia della fraterna amicizia e collaborazione con il Cardinal Carlo Maria Martini. Tessitore instancabile del dialogo ebraico-cristiano, grande interprete della filosofia medievale. Il pubblico potrà assistere a una lezione di altissimo livello in cui con parole di grande umanità Rav Laras trova il coraggio di raccontare la tragedia che ha investito la sua famiglia, condividendo con altri i suoi ricordi più intimi e da maestro si fa testimone. Il comandamento della memoria, titolo dell’intervento, partirà dal suo omonimo libro, edito da Mimesis, a cura di Francesca Nodari per la collana Tempo della Memoria. Triplice è l’imperativo a cui siamo chiamati: ricordare, trasmettere, educare. «bisognerà continuare a parlare di quello che è successo, tuttavia, chiarisce Laras, l’obiettivo fondamentale non dovrà essere unicamente quello di consegnare ai posteri questa memoria, bensì di trasmettere un atteggiamento di netto rifiuto della violenza e dell’intolleranza talché esso possa diventare parte integrante del patrimonio etico-culturale delle donne e degli uomini di domani. Questo è l’obiettivo della conservazione della memoria, una memoria dinamica che costruisca e non si pianga addosso». Laras sembra svelare il comandamento della memoria attraverso una formula: «ricordare per ricostruire». Ma, la sua è anche la condanna più ferma di una pseudo-storiografia di stampo negazionista. Mettere al centro il problema del male e della sofferenza, chiedendoci non tanto dove fosse Dio, mentre si stava consumando l’orrore, ma dove fosse l’uomo. La questione da teologica si fa antropologica: «Il ricordo di Auschwitz, ammonisce Laras, «deve diventare l’emblema di un’umanità nuova che risulti immune da ciò che ha reso possibile la Shoah, con il suo bagaglio di devastazione e di morte». Ecco perché occorre insistere sull’impiego di una memoria dinamica.

Il grande rabbino, spiega Francesca Nodari, nella prefazione al volume, «non esita a definire la Shoah «una nebulosa, spessa e profonda, che non si lascia penetrare». Ma questo non ci deve esimere dallo stare desti, dall’alimentare quella memoria – in special modo nel tempo attuale che è ormai l’era della postmemoria– che rischia non solo di essere intaccata dall’oblio, ma addirittura di essere messa in discussione da ripetuti rigurgiti di antisemitismo e da pericolose nostalgie che colorano di tinte fosche il nostro presente. A poco più di ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali, soffia ancora forte il vento del negazionismo, si assiste ad un preoccupante risveglio di «sentimenti elementari» che non possono lasciarci come degli spettatori passivi».

Mercoledì 27 gennaio, con la Giornata della Memoria, in ricordo delle vittime dell'Olocausto e di quel lontano giorno del 1945 in cui le truppe dell'Armata Rossa entrarono ad Auschwitz, si chiude la Maratona della Memoria. Ad intervenire Simona Forti, tra le più autorevoli studiose di Hanna Arendt, attualmente professoressa di Filosofia Politica presso "La Scuola Normale Superiore" di Pisa. Il suo intervento, dal titolo La questione del male tra trasgressione e obbedienza, mette al centro il male come non redimibile da nessun disegno salvifico, teologico o secolarizzato che sia. Il male non potrà mai più essere trasformato in bene, nessuna chirurgia storica saprà asportare quello che rimarrà in eterno «un tumore della memoria» come lo definiva Levinas. “Male assoluto”, “male indicibile”, “male diabolico”, “male estremo”, “male radicale”: ognuna delle locuzioni mobilitate dalla filosofia novecentesca di fronte al totalitarismo esprime la determinazione di non giustificare ciò che è accaduto, la volontà di vigilare affinché nessun agguato dialettico riesca a convertire, ancora una volta, il negativo in condizione tragicamente necessaria del positivo. Auschwitz, come dimensione «iperbolica del male», ha fatto «sprofondare la civilissima Europa negli abissi nichilistici». L’ equazione «male uguale nichilismo», da un punto di vista sia etico che ontologico, rimanda all’osservazione del «piacere assoluto di chi è posseduto dal godimento della distruzione», di un male che non è mai slegato dal potere. È così che il male «entra nel mondo», scatena il disordine e diventa fonte di sofferenza.



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