«Come è noto – ha dichiarato il direttore scientifico, Francesca Nodari – il 10 maggio 2012 il Parlamento di Strasburgo ha approvato la Dichiarazione scritta n. 3/2012 recante 388 firme che istituisce il 6 marzo come Giornata europea dei Giusti.
Il concetto di Giusto, nato dall’elaborazione del memoriale di Yad Vashem per ricordare i non ebrei che sono andati in soccorso degli ebrei, diventa così patrimonio di tutta l’umanità.
Dal 7 dicembre 2017, con l’approvazione in via definitiva da parte del Senato della legge per l’istituzione della Giornata dei Giusti dell’umanità, il 6 marzo è divenuta solennità civile in Italia. Il termine “Giusto” non è più circoscritto alla Shoah ma diventa un punto di riferimento per ricordare quanti in tutti i genocidi e totalitarismi si sono prodigati per difendere la dignità umana.
Celebrare l’esempio dei Giusti per diffondere i valori della responsabilità, della tolleranza, della solidarietà, è divenuto per la nostra Fondazione, sin dalla prima edizione della Giornata europea dei Giusti, un monito che si è tradotto nel 2013 con l’istituzione del Giardino dei Giusti di Brescia, sito nel Parco cittadino Tarello e nel 2015 con l’istituzione del Giardino dei Giusti di Orzinuovi, sito nel Parco Alcide De Gasperi.
Quest’anno la nostra Fondazione – che sarà impegnata nel marzo prossimo nel lancio di una kermesse denominata Festival dell’ascolto, che si svolgerà, riprendendo il format del Festival Filosofi lungo l’Oglio, in maniera itinerante nella città di Milano e in quattro comuni dell’area metropolitana – anticipa la celebrazione del 6 marzo al 27 gennaio con la cerimonia di proclamazione del giusto, Giorgio Perlasca, alla quale prenderanno parte, di concerto ai familiari, autorità civili e religiose, gli studenti degli istituti superiori coinvolti e la banda cittadina».
IL GIARDINO DEI GIUSTI DI BRESCIA
Riteniamo sia importante ricordare i nomi delle figure onorate.
Nel 2013 sono stati proclamati giusti: Teresio Olivelli (1916-1945), Raphael Lemkin (1900-1959), Mons. Carlo Manziana (1902-1997), Etty Hillesum (1914-1943), Jan Patočka (1907-1977) e i coniugi Angelo Rizzini (1891-1980) e Caterina Rizzini (1891-1978); mentre nel 2014 sono stati riconosciuti giusti: S. E., il Cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012) che ha fatto del dialogo la parola chiave del suo ministero: dialogo con i terroristi, con le altre confessioni cristiane, con tutte le religioni, con il pensiero laico – basti richiamare l’istituzione della Cattedra dei non credenti – con l’uomo contemporaneo e con la scienza; Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) giovane teologo luterano, simbolo della resistenza tedesca contro il nazismo – celebri sono le sue lettere di prigionia raccolte nel volume Resistenza e resa –, che offrì la sua vita fino al martirio: venne impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg all'alba del 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra e di Janus Korczak (1878-1942), ebreo polacco, educatore, medico e libero pensatore – le sue teorie hanno rivoluzionato non solo la pedagogia ufficiale, ma l’intero modo di concepire il bambino nella società occidentale – che fondò nel 1912 la Casa dell’Orfanotrofio a Varsavia di cui divenne direttore. Morirà insieme ai suoi bambini nel campo di sterminio nazista di Treblinka e la piccola Sissel Vogelmann (1935-1944) simbolo di tutti i bambini uccisi durante l’Olocausto.
IL GIARDINO DEI GIUSTI DI ORZINUOVI
Per quanto concerne il Giardino dei Giusti di Orzinuovi, nel corso della cerimonia inaugurale del 6 marzo 2015, sono stati ricordati: l’autore di Se questo è un uomo, Primo Levi ( 1919 – 1987), che visse in prima persona tutto il dramma dei lager ed ebbe la forza di non far svanire quanto vissuto trasponendolo mirabilmente nei suoi libri; i sette monaci trappisti, tutti di nazionalità francese, sequestrati dal loro monastero presso Tibhirine, in Algeria, nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, e uccisi il 21 maggio seguente. Il sequestro fu rivendicato un mese dopo dal Gruppo Islamico Armato, che propose alla Francia uno scambio di prigionieri. Dopo inutili trattative, il 21 maggio dello stesso anno i terroristi annunciarono l'uccisione dei monaci, le cui teste furono ritrovate il 30 maggio; i corpi non furono invece mai ritrovati. Ecco i loro nomi: Christian de Chergé, 59 anni, monaco dal 1969, in Algeria dal 1971; Luc Dochier, 82 anni, monaco dal 1941, in Algeria dal 1947; Christophe Lebreton, 45 anni, monaco dal 1974, in Algeria dal 1987; Michel Fleury, 52 anni, monaco dal 1981, in Algeria dal 1985; Bruno Lemarchand, 66 anni, monaco dal 1981, in Algeria dal 1990; Célestin Ringeard, 62 anni, monaco dal 1983, in Algeria dal 1987; Paul Favre-Miville, 57 anni, monaco dal 1984, in Algeria dal 1989. Nel centenario del genocidio degli armeni è stata, inoltre, celebrata la figura di Armin Wegner (1886 – 1978) militare paramedico tedesco nella Prima Guerra Mondiale, autore prolifico e attivista per i diritti umani. Stanziato nell’Impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale, Wegner è stato un testimone oculare del Genocidio del popolo Armeno e le fotografie da lui prese documentano la drammatica situazione degli Armeni e, oggi, rappresentano il nucleo della testimonianza delle immagini del genocidio. Nel 1933, Wegner fu l’unico tedesco che ebbe il coraggio di denunciare la persecuzione degli ebrei in Germania in una lettera aperta ad Adolf Hitler. Poco dopo la pubblicazione della lettera, Wegner è stato arrestato dalla Gestapo, imprigionato e torturato. Fu successivamente internato nei campi di concentramento Nazisti, tra gli altri a Oranienburg, Börgermoor e Lichtenburg; dopo il suo rilascio fuggì a Roma, dove assunse lo pseudonimo Percy Eckstein per nascondere la sua identità. Wegner è morto il 17 maggio 1978 a Roma all'età di 92. Parte delle sue ceneri sono state in seguito portate in Armenia per essere onorate con un Funerale di Stato postumo preso la Fiamma Eterna del Memoriale del Genocidio Armeno. Infine una donna bresciana, la signora Amneris Manenti (1922-2014) che si è prodigata rischiando la propria vita e mettendo in pericolo quella dei suoi cari per aiutare la famiglia Levi a sfuggire alla polizia fascista ed alla deportazione nascondendo il padre e la madre in istituti religiosi in provincia, mentre il figlio fuggiva sulle colline diretto al passo dell’Aprica. La signora Amneris, con tenacia e coraggio, riuscì persino a raccogliere il denaro necessario alla famiglia, una volta ricongiuntasi ad Edolo, per attraversare il confine svizzero nella zona di Tirano.
Per quanto riguarda l’edizione 2016 della Giornata Europea dei Giusti sono state onorate le figure di tre donne straordinarie: Giuliana Tedeschi, Edith Stein e Valeria Solesin.
Giuliana Tedeschi (1914-2010), laureata in glottologia, venne esclusa dall’insegnamento con l’avvento delle leggi razziali. Stabilitasi con la famiglia a Torino, venne arrestata l’8 marzo con il marito e la suocera, Eleonora Levi, prelevata in una clinica dov’era degente a seguito di una grave operazione chirurgica (le due bambine vengono invece messe fortunosamente in salvo). I tre sono condotti al campo di transito di Fossoli e di qui, il 5 aprile 1944, deportati ad Auschwitz con altre 600 persone (trasporto 37 Tibaldi; convoglio n. 9 Picciotto). Eleonora Levi viene selezionata per la camera a gas; Giuliana è immatricolata a Birkenau, dove resta fino all’autunno 1944, col n. 76847. Giorgio Tedeschi muore nella marcia di evacuazione da Auschwitz, mentre Giuliana, trasferita ad Auschwitz I, lascerà il campo con una delle marce di evacuazione verso Ravensbrück (18 gennaio 1945), dove giunge probabilmente nei primi giorni di febbraio. Viene poi trasportata (probabilmente il 22 febbraio) nel sottocampo di Malchow: sarà liberata da russi e francesi durante la marcia di evacuazione da quest’ultimo Lager (Lorenzkirch, 22 aprile).
Nel dopoguerra, accanto al lavoro di docente in un Liceo classico di Torino, svolge un’intensa attività di testimonianza e di memoria della deportazione e della persecuzione nazifasciste. Il suo volume: Questo povero corpo è considerato uno dei primi testi relativi alla deportazione femminile, e uno dei primi su Auschwitz Birkenau; Edith Stein (1891-1942) ebrea, filosofa, carmelitana e martire. Ebrea lo è per nascita, mostrandosi inizialmente atea, senza tuttavia rinunciare ad accompagnare la madre in sinagoga. Come filosofa, prende le distanze dai suoi maestri – tra tutti, spicca la figura di Husserl – e imbocca una via personale alla ricerca della verità. Come religiosa, vive la propria vocazione come figlia spirituale dei grandi maestri dell’ordine carmelitano, Teresa D’Avila, Giovanni della Croce e Teresa di Lisieux, fino a raggiungere la contemplazione mistica. Stein ha quarantadue anni quando abbraccia la vita claustrale. Nei suoi due ultimi anni di vita scrisse un’opera rimasta incompiuta Kreuzewissenschaft (Scienza della Croce) dove centrale è il concetto paolino di hypomene, che non indica soltanto la pazienza di chi si abbandona e fa vuoto di sé per consegnarsi all’Altissimo, ma più precisamente un «rimanere sotto» che ha tutta la forza del sacrificarsi, benché in quel momento, commenta Stein «non sapevo in che cosa sarebbe consistito il portare la Croce». Non ci si può crocifiggere da soli, ma occorre lasciarsi riempire dagli altri, donarsi, mostrare il valore intrinseco di una dedizione totale.
Stravolta dal dolore, così appariva la carmelitana in uno degli ultimi scatti che la ritraggono prima di abbandonare Colonia per Echt, nella speranza i sottrarsi ai ripetuti pogrom ebraici. Dopo la lettera del 26 luglio 1942 redatta dai vescovi olandesi contro la persecuzione degli ebrei, non tarda la vendetta nazista che, dopo una settimana, ordina rastrellamenti a tappeto degli ebrei convertiti e, in particolare, di coloro che appartenevano agli ordini religiosi. Anche Edith Stein, pochi minuti prima della domenica 2 agosto 1942 venne catturata dalla Gestapo con la sorella Rosa, alla quale si rivolse, prima della partenza, con queste parole «Vieni, noi andiamo per il nostro popolo». Consegnata al campo di concentramento di Amersfort, venne vista dopo pochi giorni nel campo di transito di Westerborck afflitta da una grande pena. A un compagno di lavoro ebreo che le chiese di adoperarsi per la sua salvezza, Stein rispose: «Non lo faccia, perché debbo sentirmi un’eccezione? Non è proprio questa la giustizia, che non possa trarre alcun vantaggio dal mio battesimo? Se non potessi condividere il destino delle mie sorelle e dei miei fratelli, la mia vita sarebbe come distrutta». Morì martire, probabilmente ad Auschwitz, il 9 agosto del 1942 – il giorno della distruzione del tempio di Gerusalemme.
Proclamata beata il I maggio 1987 da Giovanni Paolo II, Edith Stein venne chiamata dal pontefice «la grande figlia di Israele e del Carmelo». Infine Valeria Solesin ragazza solare, altruista e innamorata della vita, tragicamente assassinata nel terribile attentato terroristico al Teatro Bataclan lo scorso 13 novembre a Parigi. Attraverso la sua figura abbiamo voluto ricordare tutte le vittime cadute per gli attacchi terroristici in quello che è stato un annus horribilis per la Francia: il 2013, a partire dal 7 gennaio con l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo e al supermercato kosher per arrivare a 13 novembre, giorno in cui ad essere colpita è stata la Francia e il cuore stesso dell’Europa.
Nel 2017 sono state onorate le figure di: Elie Wiesel, Papa Giovanni Paolo II e Padre Jacques Hamel.
Scrittore, giornalista, saggista, filosofo, attivista per i diritti umani e professore rumeno naturalizzato statunitense, di origine ebraica e poliglotta, nato in Romania, Elie Wiesel (1928-2016)è stato autore di 57 libri, tra i quali La notte – scoperto e tradotto in Italia da Daniel Vogelmann nel 1980 per la Giuntina – resoconto autobiografico in cui racconta la sua personale esperienza di prigioniero e superstite nei campi di concentramento di Auschwitz, Buna e Buchenwald. Fu un combattente contro l’oblio, l’indifferenza, la menzogna. Quando Wiesel fu insignito del premio Nobel per la pace nel 1986, il Comitato Norvegese dei Premi Nobel lo chiamò il «messaggero per l'umanità», affermando che attraverso la sua lotta per venire a patti con «la sua personale esperienza della totale umiliazione e del disprezzo per l'umanità a cui aveva assistito nei campi di concentramento di Hitler» così come il suo «lavoro pratico per la causa della pace», Wiesel aveva consegnato un potente messaggio di «pace, di espiazione e di dignità umana» alla stessa umanità. Ha sempre lottato per la libertà degli ebrei russi, finché c'era la Cortina di ferro, e quelli etiopici, e moltissimo si è speso contro i genocidi in Cambogia, Ruanda, l'apartheid in Sudafrica, per i desparecidos in Argentina, le vittime bosniache, gli indiani Miskito in Nicaragua, i Curdi, chiedendo interventi in Darfur, Sudan, una risoluzione Onu che definisse e giudicasse il terrorismo un crimine contro l'umanità. Con Primo Levi ha condiviso il ruolo insostituibile di testimone.
A seguire è stato ricordato Giovanni Paolo II (1920-2005), il primo papa slavo e il primo papa non italiano dai tempi di Adriano VI. Appena salito al soglio pontificio, il 22 ottobre 1978, esclamò: «Non abbiate paura! […] Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo». Al centro del suo annuncio il Vangelo, senza sconti. Dialogo interreligioso ed ecumenico, difesa della pace, e della dignità dell'uomo sono impegni quotidiani del suo ministero apostolico e pastorale. Da ricordare anche l'importanza data al dialogo con le nuove generazioni e l'istituzione, nel 1986, della Giornata mondiale della gioventù, che da allora, viene celebrata ogni anno. I viaggi apostolici nel mondo sono stati quasi un centinaio. Di particolare rilievo, sono quelli compiuti nei paesi dell'Est europeo, che sanciscono la fine dei regimi comunisti e quelli in zone di guerra quali Sarajevo (aprile 1997) e Beirut (maggio 1997), che rinnovano l'impegno della Chiesa cattolica per la pace. Storico anche il suo viaggio a Cuba (gennaio 1998) e l'incontro con il "Leader maximo" Fidel Castro. Ovunque messaggi, liturgie imponenti, gesti indimenticabili: dall'incontro di Assisi con i leader religiosi di tutto il mondo alla preghiere al Muro del pianto di Gerusalemme. Così Karol Wojtyla traghetta l'umanità nel terzo millennio. La sua beatificazione ha luogo a Roma il 1° maggio 2011 (è la prima volta in oltre mille anni che un papa dichiara beato il suo immediato predecessore).Viene canonizzato da Papa Francesco in una cerimonia condivisa con il papa emerito Benedetto XVI, insieme a Papa Giovanni XXIII il 27 aprile 2014.
Infine è stato onorato Padre Jacques Hamel (1930-2016)la cui memoria non può non richiamare alla mente il sequestro e l’uccisione dei monaci trappisti diTibhirine – tutti di nazionalità francese – caduti, anche loro, per mano islamica. Uomo buono e di grande carisma con 50 anni di sacerdozio alle spalle –, Padre Hamel venne preso in ostaggio insieme a due suore e due fedeli da due attentatori che entrarono in azione il 26 luglio 2016 presso la chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, vicino a Rouen. Allorché gli venne richiesto di inginocchiarsi per abiurare la propria fede, Padre Hamel si rifiutò non temendo di votarsi a morte certa. Il religioso venne brutalmente assassinato confermando quanto Agostino scrive nel Sermone 94/A: «Christi martyrem non facit poena, sed causa». Ciò che caratterizza il martire non è la “tortura”, bensì la “causa” che egli fa propria e di cui dà testimonianza. Mai come oggi suona attuale quanto aggiunge il Vescovo di Ippona: «tutti i tempi sono aperti al martirio». «Ha dato la vita per noi, per non rinnegare Gesù» ha detto di lui papa Francesco. E ha aggiunto: «Ha dato la vita nello stesso sacrificio di Gesù sull'altare. E da lì ha accusato l'autore della persecuzione, vattene Satana!». Nella sua figura è contenuta la cifra del «segreto» dei martiri cristiani.
IL GIUSTO GIORGIO PERLASCA
Quest’anno sarà la volta di Giorgio Perlasca (1910-1992). Questi, sin dal suo ritorno in Italia dalla guerra civile spagnola, prende le distanze dalle scelte di Mussolini di allearsi con la Germania e di promulgare le leggi razziali nel 1938. Scoppiata la II guerra mondiale, è inviato come incaricato d’affari nei paesi dell’Est con lo status diplomatico. Arrestato e internato per non aver aderitoalla RSI, nell’ottobre del 1944, mentre erano iniziate le persecuzioni e le deportazioni dei cittadini di religione ebraica, Perlasca riesce a fuggire nascondendosi prima presso conoscenti, poi nell'Ambasciata spagnola. Qui inizia a collaborare con l'Ambasciatore Sanz Briz al salvataggio degli ebrei. A fine novembre l’Ambasciatore deve lasciare l’Ungheria per non riconoscere il nuovo governo filonazista di Szalasi. Perlasca, uomo di grande coraggio e umanità, si finge il legale sostituto dell'Ambasciatore spagnolo, con il rischio di essere scoperto dai nazisti e pressato dalla necessità di reperire i viveri per gli ebrei rifugiati nelle sue "case protette". Continuerà questa Sua impostura per ben 45 giorni, fino all'arrivo dell'Armata Rossa, e riuscirà ad evitare la deportazione di ben 5218 persone.Fatto prigioniero dai sovietici e liberato dopo pochi giorni, rientra finalmente in Italia, dove conduce una vita normalissima, chiuso nella sua riservatezza. Non racconta a nessuno, nemmeno in famiglia, la sua storia di coraggio, altruismo e solidarietà, finché negli anni Ottanta alcune ebree ungheresi si mettono alla ricerca del diplomatico spagnolo che durante la seconda guerra mondiale le aveva salvate. Attraverso il giornale della comunità ebraica a Budapest, lo rintracciano a Padova. In questo modo la sua vicenda esce dal silenzio. Giorgio Perlasca muore il 15 agosto del 1992. È sepolto nel cimitero di Maserà, a pochi chilometri da Padova. Sulla sua lapide, a fianco delle date, ha voluto un'unica iscrizione: “Giusto tra le Nazioni”, in ebraico.