Prof. Augé: cosa intende quando afferma che la scrittura può aiutarci a «fare luogo»in una società planetaria abitata dalle diseguaglianze e sommersa dalle immagini?
Chi scrive si aspetta sempre un lettore: è il bel mito del messaggio nella bottiglia, non mera affermazione di sé, ma appello all’altro. Più generalmente, la scrittura proviene dagli altri: bisogna imparare a leggere; ed essa sfugge al suo autore, non appena viene letta dagli altri. Nella società attuale, le diseguaglianze aumentano e le immagini sono ovunque. Le tecnologie della comunicazione potrebbero far progredire l’umanità se fossero in grado di mettere in relazione gli uni con gli altri e di favorire la diffusione delle conoscenze. Ma il cammino è lungo e difficile, perché l’accesso a queste tecnologie è iniquo e perché esse possono creare illusioni di relazione e di conoscenze. La scrittura è un aiuto, un’arma contro le illusioni legate all’istantaneità.
Nel suo «Straniero a me stesso » lei pone un interrogativo duplice: «La persona che ricorda, di cosa si ricorda?Ancora: la persona che scrive, perché e su cosa scrive?»...
Scrivere è spesso farlo su di sé, parlare di sé; esprimere un’opinione o raccontarsi, nel caso della letteratura «autobiografica». Ma, contrariamente a ciò che Pascal affermava a proposito di Montaigne, evocando il suo «sciocco progetto» di dipingere se stesso, parlare di sé è interrogarsi sulla parte di umanità generica che ogni individuo porta con sé. Non significa necessariamente rinchiudersi nel solipsismo. Al contrario. Uno scrittore sa che ciò che ha scritto gli sfugge una volta pubblicato e che i lettoriche lo interpretano, in un certo senso, lo riscrivono o se ne appropriano. Colui che scrive coltiva la speranza paradossale di parlare di sé e degli altri simultaneamente.
Nel suo pensiero una delle nozioni centrali è il tempo: se eredità, tra i molti significati, vuol dire trasmettere qualcosa a qualcuno che ne beneficia, in ciò parrebbe implicato lo sforzo di rompere col presente perpetuo della surmodernità: sta forse in questo il suo carattere avventuroso?
Noi viviamo un cambiamento di scala spaziale e temporale senza precedenti. È vero che il futuro ci inghiotte, che la nostra conoscenza dell’universo avanza e che la storia sta accelerando, ma nello stesso tempo il passato si avvicina a noi. L’accelerazione del processo di trasmissione fa parte della surmodernità e rafforza il senso di curiosità che ha portato alla nascita della modernità. Il sentimento del presente perpetuo è l’illusione diffusa attraverso il consumo passivo degli strumenti di comunicazione. Mala curiosità rimane e con essa lo spirito di avventura che fa parte della coscienza umana. Il giovane Homo Sapiens ha 300mila anni. In rapporto all’universale questo non è niente. Sta a noi decidere se lanciarci nell’utopia dell’educazione, che, alla fine, renderà partecipi di questa avventura cosciente tutti gli esseri umani.
Tra le sue riflessioni,centrale è il richiamo alla chance dell’educazione: cosa suggerisce alle nuove generazioni?
Il progresso delle conoscenze scientifiche è rapido e mina le nostre abitudini più radicate. Questo può assumere l’aspetto di una crisi (crisi delle vecchie rappresentazioni religiose, culturali, nazionali...), ma molto presto le evidenze si imporranno, particolarmente quelle concernenti la microfisica e l’astronomia. Il bisogno di unire gli sforzi di tutti sulla Terra sarà, lo si può sperare, avvertibile da un’immensa moltitudine di esseri di qualsiasi provenienza. Certi segnali vanno in questa direzione: bisogna individuarli e mobilitarsi.