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Giovedì, 30 Gennaio 2014 01:00

Nei disegni dei bambini di Terezin prende forma la memoria della Shoah

Arrivano due a due,la serata è fredda, non chiama la neve presentita e preammonita da un mese.

La Shoah, in questo magnifico vaso animato d’anime umane per il «Fare Memoria» di Francesca Nodari, leader e creatrice dei Filosofi lungo l’Oglio - che svernano con lo studio del martirio ebraico e tornano all’estate con i pensatori in cascine, palazzi, chiese, piazze - si ripropone la terza volta, con la costruzione di una rinnovata fortezza contro l’immane barbarie umana di nazisti, fascisti e dintorni. Il primo incontro di quattro(il prossimo sarà il 3 febbraio al municipio di Rovato con Daniel Vogelmann sulla «Testimonianza di un figlio dellaShoah»)è stato martedì al teatro comunale di Erbusco.

Francesca Nodari, accanto il sindaco Isabella Nodari e l’assessore Rosa Milini; nel centro, David Meghnagi, classe 1949, dunque figlio primo dell’Olocausto, generazione investita dallatempestadi milioni di infamie da mettere in ordine. Parla dell’arte al servizio della vita e dei disegni dei bambini di Terezin, e ci arriva attraverso i tanti campi differenziati di dolore, le omertà e le omissioni degli alleati dichiarati, del massacro psichico degli ebrei, deirimorsirimossi, delle torture assunte a normalità. Alla fine, passate le 10 di sera, tra la controffensiva di questo docente ricco di energia civile e di smisurato amore ebraico, spunta la fortezza di Terezin. Eccola lì, a 60 chilometri da Praga, grossa come un paese, ingannata dalla segnaletica di un’atrocità del diavolo, con scritte di normalità, come si fosse in una cittadina normale, con la Croce Rossa ad assistere a un concerto preparato da musicisti e suonatori illustri di mezzo mondo.

Con la Croce Rossa ad assistere «all’evento», ingannata e autoingannata per resistere al male e performarsi antidoti al terrore.Tornerà per riferire di una specie di ore tristi e non feroci. L’inganno è la componente maestosa dell’Olocausto. L’arte degli artisti è ai piani alti della fortezza di Terezin, spiega David Meghnagi. Sotto si stende il paese degli anziani, condotti lì con il nuovo inganno di una casa da comprare per una vecchiaia in guerra ma protetta. Morivano, invero, di stenti e in mezzo ai loro resti, morivano piegando la conoscenza della loro fine nel silenzio, per non spaventare i bambini e le madri. Morivano con l’idea di dover morire.

I bambini di Terezin disegnavano e coloravano i loro disegni di nascosto e li sottraevano alla vista deinazisti. Temevano che la memoria dell’immagine potesse accusare i loro padrie le loro madri, imbastisse degli indizi per puntare il dito, una volta terminata la guerra, contro gli aguzzini. I bambini di Terezin creavano e sotterravano le loro creazioni. Come un seme, un tesoro, un testamento. Loro, i piccoli senza memoria, crescevano in fretta, portavano nell’anima e nel cervello un anno algiorno della loro anagrafe e si trovavano maturi a 10 anni e alla fine della loro esistenza avranno vissuto cento volte. I bambini di Terezin divennero così profeti, avendo visto e combattuto con l’astuzia venuta da un amore unico, il tentativo di sradicamento del nazismo. David Meghnagi porge al teatro di Erbusco un fiore viola, forse perfino acquarellato dalle lacrime camuffate in colore dei bambini di Terezin.

Ecco un vaso con in cima una margherita bianchissima e tenera. Pare, per sempre, una bandierina esile e immortale, contrapposta all’immagine irrespirabile dei bambini con le mani alzate, un cappellaccio d’adulti e un paltoncino fino alla tibia. Le poesie dei bambini nascevano velocemente e battevano perfino le note dei musicisti alla fortezza alta. Sentite: «...la decima ora a un tratto è giunta... le donne si scambiano diverse dicerie... finalmente, l’unadopol’altra, tacciono...».Leopardi, il bambino Leopardi,dalla cima di Recanati, ispira senza ufficialità i crepuscoli di Terezin. Le donne garantiscono la sera e per un attimo si torna all’ancestrale quiete di un primo buio. Verranno le tenebre, le lingue acri dei gas e penetreranno giù, nelle baracche, dal cielo della grande prigione europea.

Il teatro è ammutolito. Francesca Nodari riprende sul senso di donare volti e luoghi alla Shoah. Indispensabile, altrimenti il postino della memoria non consegna le lettere delle vittime e noi maciniamo nelle case troppo calde e troppo astenute, la febbre dell’accidia e dell’indifferenza.

Informazioni aggiuntive

  • autore: Tonino Zana
  • giornale: Giornale di Brescia

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