Il senso di un sabato sera sull’aia più grande del creato, con persone sul ballatoio, caffè e botteghe e pizzeria spuntate al posto delle stalle ed un esercito di gente composta e curiosa ad ascoltare sotto un cielo un po’ così, da lontano bluastro, da vicino sereno,come accade di osservarlo e di sentirlo nella Bassa sterminata. Il sogno del sindaco Francesco Fontana si è avverato.
Il sogno di vedere, una sera, la corte Margherita strabocchevole di teste di donne e di uomini venuti dai paesi e dalla città, dalle valli e dalla pianura. Dinuovo,la compagnia umana dei Filosofi lungo l’Oglio, di nuovo Francesca Nodari a escogitare i termini più morotei per contenere chi sta sul fiume e chi no, usandola definizione onnicomprensiva di filorivieraschi.
Potevano anche essere mille teste, quelle che spuntavano dalla corte Margherita di Corzano per ascoltare il sogno del primo cittadino, il saluto sempre tensivo di Francesca Nodari e la regia moderatrice del direttore di Teletutto, Nunzia Vallini, sorpresa non più della Marzano di questa folla convocata e autoconvocata per una vicenda di filosofia e di profondissima umanità, percapire il nesso tra Dignità e vulnerabilità e sentire da vicino, toccandola, la ragione emozionante di Michela Marzano.
Lei parte dall’evento eprendeil suo,l’anoressia che rischia di negare la dignità e di avanzare per non ammetterla nel corpo e nello spirito della sua storia. Si è davanti a una scena di ribaltamento, a uno scambio tra la classicità di una certa filosofia assolutista da cui deriva che la dignità può concedere vulnerabilità, non esserne determinata.
Invece Michela Marzano rovescia il tavolo, butta per aria lo schematismo delle concettualità fisse, le triangolazioni immutabili delle parole chiave, Utilità, Autonomia, Dignità. Se si catturano e incastrano una alla volta, l’una separata dall’altra, allora avremo dimensioni unilaterali nella visione e nella gestione dell’esistenza, vivremo in società fondate sull’utilitarismo o sull’autonomismo o, ancora, sulla supremazia di una dignità intangibile, inalterabile. Invecei tre concetti debbono essere giocati, iniettati dentro la loro migliore essenza, affinché riescano a stanare l’aspetto universale della dignità e nello stesso momento la specificità naturale di ogni persona a vivere una propria vulnerabilità.
E in nome di essa, soprattutto grazie ad essa,sentirsi pienamente animati e rispettati di un’eguale dignità. Dunque dignitosi perché vulnerabili, non padroni di dignità e aspiranti a una sorta di invulnerabilità incoronata da arroganza e da ipocrisia. Un nostro vicino di banco, conoscitore di filosofie e incapace di stare zitto, allude a una dignità cristiana, a una tensione verso i deboli, a una protezione non pauperistica o «misericordiante» nei confronti di chi ha più bisogno.
Ora bisbiglia le Beatitudini e per fortuna che in quel momento Michela Marzano attualizza le riflessioni di tanti, evocando la matrice di una società ideologicamente portata a spingere via le vulnerabilità, a cantare le dignità senza se e senza ma,a idolatrare il Controllo, la Performance e l’Eccellenza. Ci sarebbe tanto da scrivere, i mille della corte Margherita lo meriterebbero...
Sappiate che domani, intanto, alla cascina Vittorie sotto Villachiara, arriva il padre del Festival, il prof. Salvatore Natoli. Vulnerabili e dignitosi, ci saremo.