Dunque, se questo è il prossimo, meglio perderlo. Ma il prossimo era tutto l’altro e dunque meglio cercarlo, stringersi la mano, ritrovarsi. Il prossimo non è scomparso, si diceva pure, accostando l’educazione e l’ironia del relatore, il prof. Luigi Zoja, e la vivacità delle presentatrici, la Francesca Nodari leader dei Filosofi lungo l’Oglio e l’assessore alla Cultura, Paola Cominotti.
Si sta in tanti nella bella piazza di Orzinuovi per ascoltare «La scomparsa del prossimo» secondo il passo di Zoja, il quale riprende il testo di un suo libro fortunato, «La morte del prossimo», e si protrae tra l’urbe urbanizzata e la tecnologia senza misura. L’una e l’altra, prima e dopo, sono la causa di una profonda solitudine, di un allontanarsi, del disossarsi nel mucchio della città megalopoli.
Una volta a casa, l’annullarsi nel vuoto degli schermi. L’urbanizzazione selvaggia e il cattivo uso della tecnologia disegnano, inesorabilmente, la scomparsa del prossimo, una resa dell’identità (Cominotti), indeboliscono la ricerca di essere degni dell’altro, di non cedere «al non prossimo». Tra il 2007 e il 2008, spiega il prof. Zoja, la popolazione urbana ha superato la non urbana. Fino a un secolo fa, una persona ne conosceva mediamente 100.
Il prof. Danwar ci spiega che ognuno di noi non può registrare più di 150 persone. Oltre, si va a una istruzione non cosciente e anonima dei visi, delle voci e del sorriso che diventa un ghigno... Zoja accenna a una provenienza sessantottina e subito spiega di essersi allontanato da quella strada, di aver ritrovato nell’analisi junghiana molti compagni conosciuti allora, di avere inequivocabilmente registrato il venire avanti di una violenza, di una prima scomparsa del prossimo. «Da psichiatra, enonda filosofo, ho sempre amato - dice - l’incontro uno ad uno e perciò mi sono ritrovato a mio agio nell’ascoltare le voci e i volti e nel registrare con interesse dei "bigliettini dal treno", gli appunti su cui costruire un cammino».
Zoja osserva e scrive di un’onnipotenza pretesa dall’individuo, per la semplice ragione di possedere uno strumento tecnologico che fintamente non lascia soli, riappacifica ambiguamente con le proprie nevrosi. Ma è diventato così imbarazzante rilanciare il comandamento pilastro della cultura giudaico- cristiana, «Ama Dio sopra ogni cosa e ama il prossimo come te stesso»?
Forse ha ragione Francesca Nodari quando ci richiama alla nostra responsabilità di vittime e carnefici nello stesso momento, dentro un consumismo che alimentiamo e critichiamo. Così Luigi Zoja non offre terapie: avverte di una deriva finale veloce e dietro l’angolo. La famiglia, la più naturale alleata del prossimo, anzi l’attrice in sé del prossimo,simunisce - diconole statistiche - di uno schermo a testa, di una stanza a testa e rinuncia al divorzio. Diminuiscono le separazioni e aumentano gli isolamenti. Non esistono rimedi di massa, terapie comunitarie. Zoja sembra suggerire una meditazione senza colpe, un invito a staccarsi, individualmente, dal non senso di un’urbanizzazione selvaggia e da un cattivo uso della tecnologia.
Ciò che conta è leggere il pericolo ed evitare di andargli incontro. È staccarsi da noi, incontrare l’altro,agirlo nei sensi naturali della vita. Non si hanno mille amici su Facebook. Si possono avere 150 amici dal vivo. Dopo, perdiamola memoria,la vista si annebbia, salutiamo e non riconosciamo e non siamo riconosciuti. Scompare, come dissolvendosi, il battito del prossimo e si avvicina il niente del postumano.