Vannini è il maggior studioso italiano di mistica speculativa e ha tradotto, tra l’altro, l’opera del teologo trecentesco Meister Echkart. Nel suo intervento ha proposto una distinzione tra piacere; felicità e beatitudine. «Il piacere riguarda il corpo e in particolare la sfera sessuale. Può essere intenso ma è transitorio».
Superiore è il piacere che deriva dalia felicità, esteso oltre il corpo anche alla psiche.«La felicità è l’oggetto principale del filosofare, ma già per i Greci essa dipende molto dalle circostanze esterne, dalla buona fortuna». Lo storico Erodoto commenta che «nessuno dei viventi è felice»; «anche perché – aggiunge Vannini – la psiche è fatta di desiderio, che causa sofferenza: lo sapeva Freud per il quale l’analisi non poteva far altro che trasformare la sofferenza nevrotica in “normale infelicità”». C’è infine la beatitudine: «Una parola quasi scomparsa, perché è scomparsa la cosa. Piacere, felicità e beatitudine sono i modi d’essere positivi di corpo, psiche e spirito. E lo spirito è sparito dalla nostra cultura, che vede solo corpo e psiche».
Il termine spirito ha anzitutto un significato intellettuale: «È l’“intelletto attivo” di Aristotele, un’intelligenza indipendente dalle cose, libera e distaccata dal particolare». Ma contiene anche mia componente amorosa: «Indica un legame vissuto con animo disinteressato. Platone nel “Convito” afferma che l’amore, se è grande, non si ferma al possesso del corpo: cerca il bene della persona amata, e più oltre il bene in sé». È l’evangelica rinuncia a se stessi, ciò che santa Teresa d’Avila chiamava «la farfalla che nasce dalla crisalide»: «La beatitudine è una gioia slegata dalle circostanze, un nuovo essere nel quale non si dipende da come vanno le cose della vita». «Non si prova gioia ma si è la gioia», scriveva nel ’300 la mistica Margherita Porete. Su questo, nota lo studioso, le grandi tradizioni spirituali di Occidente e Oriente sono concordi: «Per le Upanishad indiane, la beatitudine è dove finisce il desiderio».
Una condizione eccezionale Secondo Vannini si tratta di comprendere che non è così: «“Amavo l’amore”, è la nota espressione di Agostino. Noi diveniamo e siamo ciò che amiamo, siamo costituiti dal nostro desiderio amoroso. Siamo fatti d’amore, è questo il nostro essere, la nostra “normalità”: quello stato divino in cui non c’è un piccolo io, ma una condizione di assolutezza». Per questo la felicità chiama iniquità, perché tiene legati al principio del piacere individuale: «La beatitudine comincia quando il bene degli altri ti è assolutamente caro quanto il tuo. Nelle beatitudini evangeliche, il Regno dei cieli è dichiarato già presente per i poveri di spirito: coloro che niente vogliono, niente hanno niente sanno».