OSTIANO – I calorosi applausi di una platea eccezionalmente numerosa hanno coronato mercoledì sera lo spiazzo dell’ex-cimitero napoleonico ai piedi della Pieve di Ostiano in occasione del quarto appuntamento del Festival ‘Filosofi lungo l’Oglio’, imperniato sul tema della ‘felicità’ e patrocinato da ben dodici comuni del territorio bresciano e cremonese, nonché solennemente incensato dall’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Dopo i precedenti simposi tenuti a Brescia, Orzinuovi e Soncino rispettivamente da Marc Augè, Roberta De Monticelli e Sergio Givo- ne, martedì sera, a lume di stelle sotto i ciliegi dell’ex-cimitero napoleonico, Duccio Demetrio, ordinario di Filosofia dell’Educazione alla Bicocca di Milano e cofondatore del del Gruppo di ricerca in metodologie autobiografiche alla Libera Università dell’Autobiografia, ha tenuto la sua lectio magistralis sul tema ‘Scrivere la propria vita. Per una filosofia dell’esistenza’, preceduta dagli interventi di Giuseppe Merlo, assessore alla cultura del Comune di Ostiano, e di Chiara Capelletti, Assessore provinciale Cultura Sport e Giovani, nonché introdotta da Francesca Nodari, direttore scientifico del Festival. Un discorso, inteso nell’accezione più squisitamente filosofica di ‘logos’, contrassegnato dalla volontà di approfondire i rapporti tra felicità e scrittura autobiografica: quel desiderio, a volte sereno a volte smanioso, che, combinando in strutture linguistiche i ventun caratteri nella nostra mente come i pezzi sulla scacchiera, ci spinge a cristallizzare in una serie di porzioni testuali interrelate il flusso continuo della nostra vita. Perchè si scrive e, soprattutto, perchè si scrive di sé stessi? «Perchè – si chiede Demetrio - osservando le persone intente a scrivere ci si accorge che, inconsciamente, i loro volti comunicano ogni volta stati d’animo differenti (serenità, apprensione, ecc.) ma pur sempre emotivi»? Perchè «scrivere la propria storia può «contribuire a mitigare l’angoscia, ad essere meno infelici». E perchè, ripiegandoci su noi stessi nel guizzo d’una retroazione positiva, balziamo ad un nuovo livello, da protagonisti ad autori e spettatori della nostra esistenza.Ma come connettere scrittura autobiografica e felicità? Innanzitutto bisogna tener conto della differenza tra ‘gioia’, qualcosa che «fiorisce al nostro interno in modo breve ed estemporaneo», e ‘felicità’, un entità che «scorre avanti ed indietro nel tempo e non appartiene all’attimo ma rappresenta una faticosa costruzione». Proprio in virtù di questa differenza, la rete della scrittura autobiografica «assomiglia di più alla felicità che alla gioia». E, ricordando ‘Quell’andarsene al buio dei cortili’ del poeta milanese Milo De Angelis, Demetrio suggerisce di iniziare la tessitura di questa scrittura «dagli attimi più gioiosi della nostra vita» e di svilupparla seguendo un percorso che, lungi da un predefinito progetto ingegneristico, cresce per interna forza neghentropica seguendo più l’arte del ‘bricoleur’, che si arrangia anche con l’alea e l’imprevisto, finché, dai quei minimalia apparentemente non interrelati, emerge un disegno, un mosaico mai fisso né definitivo. Un mosaico formato da una rete di attimi che «nel momento in cui vengono scritti diventano corpo». Ma, prosegue Demetrio citando Jacques Derrida, «scrivere non è solo un atto per sé stessi ma significa anche donare il proprio tempo». E, forse, anche «immaginare, vedere e mettere a fuoco un’altro tempo». Purché, con- clude il filosofo, non venga fatto per «ingannare il tempo, o, peggio, per riprendersi la fama che il tempo ha adombrato», come sembra invece accada nelle sempre più frequenti autobiografie, frettolosamente composte da attori, sportivi e divi in genere, che dominano attualmente una buona fetta del mercato editoriale italiano.