Così ha detto Francesca Nodari, l'ideatrice e direttrice scientifica della manifestazione che, raggiunto il diciottesimo anno, dimostra ancora grandi possibilità di crescita. Lo si è visto l'altra sera, con la corte de Le Vittorie riempita da duemila persone (e la necessità a un certo punto di bloccare l'afflusso), per ascoltare Umberto Galimberti, accolto dalla sindaca Laura Bonfiglio. Una folla da divo del cinema, rivelatrice del bisogno diffuso di andare oltre la superficialità della maggior parte delle esternazioni.
«La filosofia - ha detto il noto psicoanalista e filosofo - non dà risposte, ma mette in questione le idee che abbiamo in testa». Per farlo, Galimberti ha invitato come sempre a guardare agli antichi greci, dai quali proviene a suo parere «l'unica grande etica mai apparsa nella storia: un'etica del limite. Una cultura necessaria per porre rimedio ai mali di oggi».
Il coraggio dei greci. Il limite, per i greci, «era dato dal fatto che concepivano la natura come sfondo immutabile che vive secondo i cicli del tempo. L'uomo ha il compito di contemplarla per catturarne le leggi al fine di costruire una città e una vita secondo natura. Ed è visto non al centro del creato, ma alla pari con gli altri esseri viventi, senza cieche speranze ultraterrene». Da qui nasce la «condizione tragica» della cultura greca, che si confronta senza infingimenti con il limite della morte: «L'uomo deve costruire un senso della sua vita, in vista della morte che è l'implosione di ogni senso. Secondo Nietzsche, i greci sono stati gli unici col coraggio di guardare in faccia il dolore». L'uomo occidentale, anziché educare al limite, si illude di superare ogni confine grazie alla tecnica. La scuola, invece, «andrebbe riempita di letteratura e non di computer», perché conoscere i sentimenti è il primo passo per far crescere uomini capaci di «contenere e orientare le pulsioni verso mete compatibili a una convivenza pacifica. Gli esseri umani, inoltre, hanno bisogno delle istituzioni, che gli animali non hanno perché guidati dall'istinto. Educazione e politica servono a costruire la convivenza». I greci ne erano più consapevoli di noi, così come sapevano che «l'uomo è lacerato tra le istanze individuali e quelle della specie. La natura è indifferente alla conaizione umana, vuole che gli uomini muoiano perché la specie si alimenta del ricambio generazionale. L'individuo invece resiste all'idea di dovermorire». Da questa lacerazione nasce la concezione tragica che abbiamo rimosso: «Grazie alla medicina abbiamo superato il limite della vita, ottenendo solo di allungare la vecchiaia in modo spaventoso».
Con l'avvento della cultura giudaico cristiana che «ha costruito l'Occidente», afferma Galimberti, l'uomo è stato posto al centro del creato con il compito di dominare la Terra. Ora, tuttavia, «la nostra capacità di fare è superiore a quella di prevedere gli effetti del nostro fare»; mentre la tecnoscienza «non è interessata al benessere dell'umanità e vede la natura solo come materia prima, perché ha come unico scopo il proprio autopotenziamento».
Cosa ce ne facciamo, allora, «di etiche che non impediscono agli umani di distruggere la Terra»? Una domanda destinata proprio a «mettere in questione» le nostre abitudini mentali.