L’analisi nato liana – sottesa dalla distinzione tra fare (eseguire un compito) ed agire (dare senso alle proprie azioni) – ha preso le mosse dal volume «Il buon uso del mondo», che conclude un’originale trilogia sullo stato attuale del mondo. È ricco che è felice o è felice chi è ricco? A partire da questa domanda ha preso corpo l’argomentazione del filosofo che ha saputo affrontare, in un’indagine a tutto campo, il rapporto tra denaro e felicità. Se in passato la ricchezza era indice di possesso di beni, dal moderno essa è sempre più rappresentata dal denaro. Il denaro è divenuto esso stesso oggetto di scambio: si può vendere e comperare e, in tali transazioni, può acquistare o perdere valore. Si può far denaro col denaro: basti pensare alle recenti bolle speculative e alla crisi finanziaria. Non solo, il denaro è un’istituzione; non a caso viene fissato dagli stati e v’è una moneta di riferimento. Ma quale posto occupa nella catena delle cause? Natoli ricordando la distinzione spinoziana tra «cupiditas» - che è un «adpetere» consapevole – e «desiderio», che è a sua volta espressione di potenza e di indigenza, fa notare come si sia passati dalla desostanzializzazione del mondo alla monetizzazione della vita.
Cosa significa? Il fatto che il denaro ha deposto la sua funzione di fine ed è divenuto un valore per se stesso. «Proprio per la sua indifferenza – per il suo poter essere un tutto – ha spogliato le cose delle loro essenze e le ha ridotte a funzioni: è il valore delle cose, direbbe Simmel, senza le cose stesse. Oggi ciò che conta non è la proprietà, ma la disponibilità. Niente più del denaro rappresenta il possibile: smentendo la superstizione cosalista di Mida, la moneta cessa di essere aurea, argentea e diviene titolo. Il denaro, inoltre, ha un rapporto particolare con il tempo: il tempo deve essere pieno perché ogni nostro atto sia trasformabile in termini di guadagno, a differenza degli antichi che parlavano di “otium”, la cui caratteristica era di sottrarsi al “negotium”, poiché si trattava di un tempo non suscettibile di essere denominato in termini di scambio.
Oggi – prosegue Natoli – gli uomini sono trattati come mezzi sia quando sono ridotti a mere prestazioni, sia quando sono consumatori passivi. Tutto ha valore di mezzo, tranne il denaro, non perché è un fine in sé, ma perché è un vortice. Occorre invece recuperare la ragione del fine, incentivare la creatività dei singoli e non orientare la produttività al mero accrescimento di profitti senza soggetti». Non solo, dal consumo di massa dei grandi magazzini si è passati alla specializzazione e personalizzazione del consumo. «Ma sappiamo cosa vogliamo e, soprattutto, cosa vogliamo essere? Chi è che sceglie quando scegliamo? Non si tratta tanto di demonizzare i consumi, bensì di modularne la fruizione come già facevano gli antichi. Eppure – nota il filosofo – nelle società postindustriali v’è un duplice paradosso: da un lato, il fatto che l’indice di soddisfazione tende ad abbassarsi non potendosi più permettere quanto prima era possibile, dall’altro ne viene che i beni – aria, acqua, spazi – un tempo considerati comuni, stanno diventando rari. Per dirla con Enzensberg: “il lusso del futuro si congeda dal superfluo”. Per questo – conclude Natoli – bisogna apprendere il buon uso del mondo, che è la capacità di mettersi in sintonia e di custodirlo per poterne davvero fruire».
Francesca Nodari - Giornale di Brescia, 16 ottobre 2010-10-16