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Mercoledì, 30 Settembre 2020 07:32

Un'umanissima alleanza tra persone, anche per il lavoro

Stefano Zamagni Stefano Zamagni

Si trova a suo agio in questa bella chiesa grande e piena di Orzinuovi, in un distanziamento calibrato, tutte mascherine, tutti venuti da tanti paesi e città per ascoltare lui, il prof. Stefano Zamagni, economista tra i più grandi di economia sociale e del terzo settore, scelto dal Papa per essere prima consigliere e quindi presidente dell'Accademia Pontificia di Scienze Sociali: dunque in sintonia con la cruna dell'ago e con Gesù che scaccia i mercanti dal tempio; eppure, in sintonia con la parabola dei talenti e con il bisogno universale di crescere a patto che le distanze siano accettabili, che il ricco non sia sempre più ricco e il povero sempre più povero.

Sceglie un titolo complesso e non complicato: un conto, dirà il prof., è la complessità e un conto è la complicazione: «La politica della vita confuta l'etica della vita umana: che fare contro l'aporofobia (la paura del povero)?

Il Festival deiFilosofi lungo l'Oglio con il bagaglio intestato all'«Essere Umani», ritrova uno dei suoi campioni. Il prof. Zamagni si trova nella stessa comodità del parroco che Io accoglie, don Domenico Arnidani, con il saluto della municipalità, di Carlo Lombardi assessore da pochi giorni alla Cultura e del vice sindaco Laura Magli. Si trova un gran bene in questo XV festival creato e condotto per mano da 15 anni da Frances ca No dari, che ringrazia con calore.

Ma si trova proprio bene, il prof. Zamagni, nella chiesa di S. Maria Assunta, poiché nel tempio orceano tutto parla di equità, di santa benedizione a chi aiuta i derelitti e i bisognosi. Il tempio diviene il libro dell'economia e della filosofia, una colonna un foglio, un altare un capitolo, le tante persone la congiura della speranza.

Disuguaglianza. Va risolta la grande disuguaglianza tra ricchi e poveri, riflette il prof. Zamagni; la sostenibilità non si riferisce solo alla questione economica, ma alla centralità della persona: c'è sostenibilità se essa ha come base la vista immediata del bisogno naturale della persona, bisogno prima del diritto e quindi povertà non solo da compassionare come ieri o da cancellare come oggi, ma povertà quale primo nostro sentire per partecipare al senso del noi, per escludere la minaccia egoistica di sostituire le tecnocrazie che mirano a spallare la persona con la macchina invece di elaborare un campo morale in cui le coscienze pretendano di sedere in prima fila.

Distanze. Constatare in questo mezzo secolo l'aumento tra ricchi e poveri in una distanza maggiore degli ultimi 300 anni rabbrividisce anche il più tifoso della sostenibilità puramente economica che spera nella teoria dello sgocciolamento e cioè che producendo sempre di più alcune gocce finiscano per cadere anche nel deserto della povertà. Oggi, spiega il prof. Zamagni, si individuano due gruppi di pensatori: il gruppo che si occupa della prosperità senza preoccuparsi del modo con cui ottenerla e il gruppo che spinge per una prosperità inclusiva. La sfida è di portata epocale e allude al desiderio di pace o alla tentazione di un tipo di guerra. E chi cerca di convincere sulla necessità di staccare la produzione dalla distribuzione è come colui che continua a riempire un secchio bucato. Alla fine, per chi ha bisogno, non rimarrà nulla. Più che un contratto sociale, spera il prof. Zamagni, occorre un contratto morale, un'intesa umanissima, l'alleanza della persona con la persona, l'unità del nostro corpo e del nostro spirito come se fossero primordialmente intesi. Anche sul fronte del lavoro, riflette Zamagni, è indispensabile passare dalla dimensione positiva, alla concezione del lavoro espressivo e quindi di un lavoro di identità, in cui la persona si riconosca soddisfatta per quello che fa e non solo per quello che riceve. Perché, alla fine della giornata, la persona torni a casa arricchita del suo lavoro e non con la pesantezza di un lavoro nella mente e sulle spalle.



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