Milleduecento persone, l'altra sera, sbucate nella polvere di un sentiero tra Villachiara e Orzinuovi. Milleduecento contate, dalle guardie ecologiche del Parco dell'Oglio in cui si trova la cascina Le Vittorie, ad ospitare Umberto Galimberti, filosofo severiniano e psicanalista junghiano. Tema: «In dialogo con i nostri pregiudizi per generare il giusto giudizio», per la regia mirabile di Francesca Nodari, premier della monarchia costituzionale dei Filosofi lungo l'Oglio.
Questo evento è una sorta di nuova Woodstock della filosofia, rap di Socrate, assoli di Platone e rock espressionista del duo di destra Nietzsche Heidegger. Stavolta si esibisce Galimberti. Da molte parti, concordano Galimberti e Nodari, salgono vampate di oscurantismo, grida contro i più deboli, pregiudizi d'ignoranza per chi migra dopo essere stato sbranato dal colonialismo. Galimberti non fa sconti: «Rifiutiamo i neri perché poveri e inconsciamente ne scopriamo una potenza e un futuro maggiori del nostro. Non rifiutiamo i cinesi perché sono ricchi. Le sofferenze dell'Africa vengono da nostre colpe. Cos'è stato, se no, il colonialismo?».
Umberto Galimberti evoca Karl Jaspers: «Ad Heidelberg fu implacabile: disse, noi abbiamo eletto Hitler, liberamente; abbiamo colpe giuridiche, colpe morali, colpe metafisiche perché siamo ancora vivi sul corpo dei morti. Tutti sapevamo cosa stava accadendo... Così è per noi Occidentali, conosciamo i disastri che abbiamo provocato, come quello ecologico, creando un vuoto per il futuro dei nostri figli...».
Galimberti traduce il significato del pregiudizio, «che rappresenta la nostra identità e la nostra appartenenza e dunque da soli non riusciamo a superarlo. Come si arriva allora al giudizio giusto?». Indica Socrate come esempio: «Andava in giro e chiedeva al passante cosa pensasse di svariati temi, metteva sulla graticola l'opinione, capiva se un'idea stava in piedi da sola. Diventava, quella opinione, la verità provvisoria. Il metodo-sostanza è il Dialogo, che non è un gioco, ma la massima distanza tra opinioni. Il dialogo ha bisogno di qualcuno che la pensa diversamente da te; allora incomincia la fuoriuscita dal pregiudizio. Il dialogo mette il pregiudizio con le spalle al muro. Insieme serve la tolleranza, l'atteggiamento per cui io penso che tu abbia un ingrediente di verità maggiore del mio».
Allora si cammina insieme, ci si corregge, si cerca l'opinione comune più avanzata. Diversamente è una lotta di pregiudizi, è la corsa verso l'abisso.