LOGRATO. La lezione è attillata sui fianchi della sua lunga sapienza «Generare. Creare e procreare» è già iscritta nella sua ricerca esistenziale. Marc Augé, forse il più grande antropologo del mondo, è venuto dalla sua Parigi con il bagaglio dell'ultra ottuagenario paziente, chiedendo sempre l'ora dell'evento e in ciò misurando la distanza del tempo con la miscela della sua energia per non deludere le centinaia e centinaia di anime, lì ad attenderlo nella bellissima Villa Morando a Lograto, cugina della sua Versailles.
Lui è «il più di casa» sotto gli otto cieli di otto anni vissuti nelle sue olimpiche presenze al Festival Filosofi lungo l'Oglio. Marc Augé cammina nel mondo, scorrazza tra gli spiriti e i corpi dolenti in Australia, in Messico, in Costa d'Avorio. Le radici originarie di ognuno di noi appartengono all'universo e si è sempre a casa, nelle piazze, nelle chiese, nelle cascine, nelle grandi ville occupate dal popolo della filosofia. Sempre a casa come a Lograto, grazie all'ospitalità del sindaco Gianandrea Telò, per la perfetta amicizia e organizzazione del Festival dei Filosofi lungo l'Oglio.
Antropologo, «abbonato» allo straordinario evento bresciano per un'empatia che unisce la città e la campagna, il paese e il mondo, fu intercettato da Francesca Nodari al Festival della filosofia di Modena e subito accettò l'invito, affascinato dal racconto di questo tour nei territori dei paesi e delle città, perché «generare - disse subito - è ritrovarsi dappertutto con il noi, con l'altro».
Dunque, Marc Augé c'era già prima di arrivare, per dirla con la mistica sudamericana dei Marquez e dei Borges, di chi vive nella trincea in cui il visionario è amico, l'orizzonte, prima o poi, si conquisterà e il nuovo orizzonte verrà spostato in avanti.
Francesca Nodari introduce il pensatore con il viatico della sua matrice: «Augé porta ad approfondire la solitudine della persona, attualizza la colonizzazione accaduta dei pochissimi sui tantissimi, ma non si abbandona al pessimismo e crede nell'utopia dell'educazione dopo che lo squilibrio economico sia stato almeno parzialmente, rimesso a decente misura morale».
Augé precisa che l'utopia dell'educazione appare come irrealizzabile a causa di politiche mondiali egoiste. Crede al rinnovamento dellapersona ed è sicuro di affidare la forza ditale cambiamento alla cultura del generare. «Creare - sostiene Augé - non significa produrre, non si produce un libro, un'opera d'arte. Fondamentale è la coscienza misurata della propria creazione, senza cadere nell'abbraccio narcisistico».
La libertà della persona si manifesta in questa moderazione, nella coscienza di creare e nell'autodisciplina delle emozioni per non sopraffare l'altro invece che includerlo nel processo generativo. Negli attuali processi educativi, esemplifica Marc Augé, le difficoltà maggiori sono tra padri e figli e non tra nipoti e nonni: «I genitori stanno dallaparte dellaprocreazione, i nonni sono più vicini alla creazione e toccano quell'umanità che eguaglia ciascun uomo ad un altro».
Augé non sfugge alle regole principali dell'insegnamento, traccia la pedagogia delle fondamenta ed esige, parimenti, le uscite fuori dai confini della classicità antropologica ed etnologica. E allerta, altresì, di non usare il termine «antropologia» e derivanti come un passaporto per quisquilie di giornata. Per cui, quando piazzail messaggio finale di fratellanza laica, Augé non lo fa calare d'improvviso e come un orpello gratificante o auto gratificante. Il messaggio finale è il frutto di un cammino estenuante, perfino fisico: «Il nostro testo di vita è individuale, sociale e generico. E questo "generico" abita in ciascuno di noi, nel senso immediato che non sarei quello che sono se non avessi di fronte l'altro».
Se in luì e in me non transitasse la santa ebbrezza vivificante di una sensibile quantità umana generata dalla fusione tra l'io e il noi. Di là si allarga la colonizzazione, cresce la disuguaglianza, si preparano accampamenti di disordine sociale, di bruttezza dell'anima, di complessive e sconsolate solitudini.