La giuria presieduta da Francesca Rigotti ha assegnato il riconoscimento al prof. Umberto Curi, storico della filosofia. Le motivazioni sono state espresse dalla stessa Rigotti dopo l’introduzione ricca di spunti etici e di cultura filosofico-politica di Francesca Nodari (che guida la Fondazione promotrice): «Umberto Curi fa leva sull’esplorazione ambivalente, di offerta e di paura. Un’ambivalenza tipica dello straniero che pone il problema dell’accoglienza e dell’ospitalità... Il valore dello straniero è polivalente».
Insomma, va recuperata la tradizione millenaria del rapporto tra la polis mutante nel tempo e chi viene da lontano. Il prof. Umberto Curi ha esposto il senso profondo del suo saggio «Straniero» edito da Cortina: «Il libro nasce da un lato per la natura attualissima di questo tema intorno allo straniero, dal punto di vista sia sociale sia politico, e dall’altro sotto il profilo più strettamente teorico-filosofico.
Lo stimolo ad approfondire questo problema mi è venuto dalla constatazione di un dibattito sulla questione dello straniero davvero sconfortante, perché il tutto si riduce a una sorta di sterile balbettio in una contrapposizione tra due slogan: o il respingimento o l’accoglienza senza specificazioni». Basterebbe, sul piano politico e morale, ricercare una sintesi che, in assenza di pregiudizio e di stupidità, viene avanti da sé. Si alzerebbe subito la ricerca delle soluzioni, il ristabilimento di atteggiamenti non conflittuali e non demagogici.
Il prof. Curi analizza la storia dell’accoglienza, il rapporto delle civiltà con lo straniero: «Le origini della tradizione culturale dell’Occidente portano riflessioni approfondite riguardanti la figura enigmatica e sfuggente dello straniero. In particolare si è perduto il riferimento alla vera e propria fondamentale categoria politica che troviamo in tutto il mondo antico: si definiva Xenia ed era una serie di regole che imponeva ospitalità e amicizia per lo straniero, qualunque fosse la situazione in cui si trovasse. Ho esplorato alcuni capolavori dell’età di Pericle: al centro vi è il rispetto inflessibile dell’ospitalità, improntata a principi di grande civiltà. Si è andata perdendo nei secoli fino all’attitudine oggi prevalente che è il rifiuto, talora emotivo, del rapporto con la figura dell’altro che è lo straniero».
Il prof. Curi invita a ricordare quanto detto dal prof. Jacques Derrida sui due dati dell’ospitalità e dell’accoglienza, che vanno distinti, per cui l’ospitalità è incondizionata mentre l’accoglienza va determinata nel contesto storico in cui accade. Oggi, riprende Umberto Curi, la distinzione tra ospitalità e accoglienza si è offuscata ed è venuta meno l’attitudine all’ospitalità. Nel mondo antico l’ospite veniva accolto con un dono per la ragione che portava in dono se stesso, una novità umana e culturale. Siamo lontanissimi da quel modo di pensare lo straniero. «Di solito si parla di migranti economici con un tono critico, come se - analizza il relatore - la ricerca di una migliore condizione economica dovesse essere dichiarata disdicevole in una società come la nostra che esige crescite quantitative. È una profonda contraddizione».
«Lo straniero abita dentro di noi» è la conclusione del prof. Curi: «Ognuno di noi è insieme il sé e l’altro da sé. Lo straniero, ancora prima di bussare alla nostra porta, abita dentro di noi. Dunque opporsi allo straniero è opporsi a noi stessi».