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Domenica, 08 Luglio 2018 00:09

Cosi sta tramontando il "noi"

mons. Vincenzo Paglia a Orzinuovi mons. Vincenzo Paglia a Orzinuovi

L' uomo non è fatto per la solitudine: così inizia il racconto delle Genesi. Egli è un essere sociale, un essere di linguaggio, d'incontro. Ma oggi viviamo nell'era di un nuovo individualismo che si avvita su se stesso, slegato da vincoli e doveri che non siamo quelli attinenti all'io. Un io bulimico e assolutista che non sa guardare al di là del tinello. Narciso è il primo santo del calendario. Ma tanti io non producono un noi, anzi si trovano davanti l'immensità del vuoto. Oggi l'uomo è iperconnesso, ma sembra aver perduto la passione di sognare in grande, non è più capace di utopie. Un sistema sociale che penalizza sempre i più deboli.

Chiedersi chi sono io, non è più sufficiente. Meglio chiedersi «per chi» sono io. Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita ed eminenza grigia della Chiesa, ha scritto un volume, Il crollo del noi (Laterza), che mette il dito sulla piaga della contemporaneità. Domani sera (ore 21.15) parlerà su questo tema in Piazza Vittorio Emanuele li a Orzinuovi nell'ambito del Festival Filosofi lungo l'Oglio.

Monsignore, come si esce da questa situazione?

«Serve un cambiamento d'epoca, come ha detto Papa Francesco, altrimenti la sopravvivenza dell'umanità è a rischio. La situazione della società liquida è stata descritta bene da Bauman. Al vecchio egocentrismo che spingeva ognuno a pensare a se stesso, oggi si aggiunge una sorta di Egocrazia, di potere dell'io che piega a se stesso anche le istituzioni. La perdita dell'idea del bene comune mette così a dura prova la famiglia, la città, gli Stati, in cui crescono disparità e diseguaglianze. In questo orizzonte è indispensabile riscoprire il valore della prossimità ossia il bisogno di essere legati gli uni agli altri. La fraternità è sempre stata una frontiera difficile, ma è la chiave che ci apre al mondo del noi. Nessuno può vivere da solo».

Eppure l'individualismo è stato anche una conquista.

«Certo. Una grande conquista della modernità. E lo si deve sia all'ispira-zione della cultura ebraico-cristiana (ogni uomo è figlio di Dio) sia alla cul-tura laica (Kant sottolinea che l'uomo è sempre un fine e non un mezzo). Ora però questo valore dell'individuo vie-ne messo in sofferenza, perché non lo si esalta in rapporto agli altri».

E' dunque necessario un nuovo umanesimo al plurale?

«Oggi questo è l'impegno che devono affrontare credenti e non credenti: riscrivere un nuovo umanesimo che affronti le sfide della globalizzazione, e anche quella della tecnica che può giungere perfino a creare la vita in laboratorio. Ecco perché è urgente una riscossa spirituale, morale e culturale. Premessa questa indispensabile per una buona politica e una buona economia. La crisi della politica, che noi constatiamo in Europa, sia nei piccoli centri che nell'aggregazione degli Stati, è dovuta all'impoverimento proprio di quella linfa vitale che deriva dal pensiero umanistico, democratico e solidaristico».

Nelle periferie e nelle città si combatte una guerra tra poveri, tra residenti e nuovi arrivati. I migranti rappresentano un argomento rovente, di estrema attualità.

«Siamo di fronte a un caso di strabismo. Il problema delle migrazioni è sicuramente un problema planetario. Si parla di ius soli e ius sanguinis. Io vorrei invece che si parlasse di ius migrandi, del diritto di tutti di abitare la Terra pensata come casa comune. Ovvio che questo richiede una cultura politica centrata sulla convivenza e sull'accoglienza. In breve, ritengo che le migrazioni siano un problema, ma non "il" problema. Far prevalere unicamente la percezione drammatica dei numeri, significa solo gettare benzina sul fuoco».

Brescia è città che vanta una tradizione di cristianesimo sociale...

«La conosco bene la vostra città. L'umanesimo bresciano è un patrimonio non solo italiano. Ha dato uomini di valore. Per me Paolo VI, prossimo santo e amatissimo da Papa Francesco, è una delle grandi personalità del `900. Dirò di più: è impossibile capire Montini senza Brescia».



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