Crisi politica, deficit demografico, corruzione politica, decadenza culturale, e l’elenco potrebbe continuare: sempre più storici e filosofi cercano analogie fra la fine dell’impero romano e la situazione attuale dell’occidente. Alcune di queste tesi sfociano talora nel razzismo, vedendo il pericolo maggiore nei paesi del terzo mondo, pronti a riversare il “sangue straniero” sulla società occidentale. Altri finiscono con il cedere all’immagine di una lenta ma progressiva decadenza del genere umano nella storia, sicché il ritorno alla barbarie in qualche modo preconizzato da Spengler un secolo fa è considerato inevitabile. Al volgere del millennio, vi fu addirittura chi profetizzò la fine del mondo. Certo, la tragedia dell’11 settembre ha marchiato l’inizio del XXI secolo ed è inutile dire che da allora tutti abbiamo un po’ paura. La serie di attentati che ha colpito la Francia, il Belgio, l’Inghilterra e la Germania ha reso più precaria la nostra agiata esistenza, mentre guerre e carestie continuano a colpire tante zone del globo al di fuori dell’occidente industrializzato.
La paura pare dunque costituire il marchio essenziale della contemporaneità. Ma come poter superare questa inquietudine di fondo che permea la nostra vita? Il tentativo di delineare una strada che faccia ricorso alla razionalità traspare come un filo rosso nell’opera di Marc Augé, il sociologo francese noto per la sua definizione dei “non luoghi” che caratterizzano il mondo postmoderno. Lo si intuisce leggendo un libretto da poco pubblicato da Mimesis, in collaborazione con la fondazione Filosofi lungo l’Oglio, e significativamente intitolato Sulla gratuità. Ancora una volta, lo studioso vuole delineare un futuro possibile proprio dicendo no al sentimento della paura: un imperativo che richiama l’appello profetico di papa Wojtyła nel 1978, all’inizio del pontificato, “non abbiate paura!”, ma anche il più recente invito di Stéphane Hessel con il pamphlet Indignatevi! divenuto nel 2010 un best seller.
«L’ideale — ha scritto Augé in un altro libretto, Futuro (Bollati Boringhieri, 2012) — sarebbe rimpiazzare la paura con la curiosità. Le due cose non sono così lontane l’una dall’altra. È il desiderio di conoscenza che può permettere di passare dall’una all’altra. Questo desiderio stesso è il frutto dell’educazione. L’utopia dell’educazione sarebbe, letteralmente, la vera rivoluzione». E afferma che conoscenza ed educazione sono le vie per vincere la paura, senza dimenticare la solidarietà, dato che per affermarsi l’essere umano ha bisogno dell’altro.
Il sociologo prende atto del fatto che la gratuità è una nozione che sfugge alla sensibilità contemporanea. Il che non vuol dire che nella nostra vita manchiamo di gesti generosi e altruisti. «Ma nell’idea di gratuità v’è qualcosa di più che in quella di generosità». Nel discorso parte dalla figura di Don Giovanni, che nell’opera di Molière provoca un mendicante molto devoto a Dio chiedendogli di bestemmiare in cambio di un luigi d’oro. Una scena giudicata scandalosa cui il protagonista alfine rimedia rinunciando al suo proposito e facendo l’elemosina al povero «per amore dell’umanità».
Come segnala Francesca Nodari nell’introduzione, con questo esempio Augé mette in luce l’arbitrarietà e l’ipocrisia che si possono celare dietro l’atto gratuito, che diventa davvero tale se è disinteressato, vale a dire quando riconosce la presenza dell’altro. In caso contrario, può svelarsi disumano anche se affascinante. Accade a certi personaggi di Dostoevskij capaci di uccidere senza ragione, come Raskolnikov in Delitto e castigo, oppure ai terroristi del fondamentalismo islamico, disposti a portare la morte in nome di quello che considerano un bel gesto e che in realtà rappresenta un’ideologia impazzita. La vera gratuità — ci vuol dire Augé — parte piuttosto dalla coscienza che non si è soli al mondo. Come diceva Péguy, «ci si salva insieme».