Il prof. Bodei, itinerante da Los Angeles a Maclodio, conosce la storia del paese, appassionato della battaglia qui avvenuta e amante della storia dell’arte, di quel dipinto dei Bassano che illustra lo scontro storico, ci pare, del 1427 per cui i bresciani prima milanesi passarono sotto Venezia e fu la mutazione della nostra vita. La prof. Nodari ricorda i molti onori del prof. Remo Bodei, non ultimo la fondazione del festival di Modena.
Bodei è uno che vende 9mila copie di un libro di filosofia, «Il limite» equivalente a un milione di copie per un giallo. Riflette su «Il tatto», il prof., divide in due parti la sua lezione. Per primo parla del tatto come senso, come grazia. Il tatto ci distingue dagli animali, nessuno sente il tatto come la persona. Racconta un progetto che sta sviluppando la scuola Sant’Anna di Pisa, tra le maggiori scuole di robotica. Qui si studia l’esperimento della sostituzione della mano. L'artificiale rompe il confine e c’è chi si ritrova una mano artificiale e che dopo un’operazione sofisticatissima scopre di un collegamento del suo arto con il cervello, riprende una sensibilità originaria. Diderot, ricorda Bodei, nella lettera sui ciechi immagina un’intervista a una donna che ha perso la vista. Lei espone il rimpianto: mi sono adattata, sto bene, solo avrei il desiderio di toccare il cielo con una mano. Diderot, parafrasato da Bodei, indaga l’unità dei sensi e se uno di essi viene a mancare, scatta in avanti il tatto e cerca di riequilibrare la sottrazione. Per dire, insomma, «che l’anima a volte si trova sulle punta delle dita e il cieco si trova a sentire un mondo sensato, se riceve il soccorso del toccare, del sentire di toccare». Bodei incrocia la mistica di San Giovanni della Croce, l’unione mistica sponsale, la fisicità nell’estasi, come «la bianchezza soave» che tocca la sensibilità pensante ed estatica di Santa Teresa D’Avila.
La seconda parte dell’analisi di Bodei è sul tatto nei rapporti umani. Da un lato, scherza, ma non troppo, ecco i ficcanaso e sul lato opposto del campo, ecco gli indifferenti. L'indifferenza appare oggi come il destino ineluttabile della nostra vita. Invece, sotto sotto, non è così. Dovremmo andare alla ricerca di una via di mezzo tra chi va via a manate sulle spalle, e far vincere un uso di quella cortesia che occupa la via di mezzo, che non sia fredda e non si trasformi in cameratismo dell’abbraccio. Bodei mette in scena l’apologo di Shopenauer: dei porcospini sentono freddo d’inverno, non sanno come scaldarsi e ci riescono allorché trovano una forma intermedia di convivenza, la forma della tepidità, l’arte di vivere con gli altri.
Stiamo attenti all’uso delle parole, incita Bodei, un buongiorno e una buonasera detti in una certa maniera, rilanciano il patto di non aggressione.
L’amore, infine, secondo il prof. Bodei, è la rinuncia alla via di mezzo, alla tepidità, è l’aprirsi al rischio di andare oltre un’eccessiva prudenza, il rendersi vulnerabile. Oggi, conclude Bodei, «siamo davanti a una mancanza dilagante di tatto, e noi sappiamo che subito così si arriva alla rozzezza. La quale rozzezza, nella storia, è servita alla classe dominante per separarsi dalla plebe, dal popolo». Viene in mente al prof. Bodei, a tutti noi, il tatto inestinguibile di Mino Martinazzoli, abile a servire, in tavole pubbliche e private, porzioni perfino immasticabili, di ironia e di sarcasmo, pur di non scivolare nella rozzezza, nel pericolo culturale prima e poi politico, di togliere democrazia ai gesti, ai rapporti tra le persone.
«Conviene andarsene, educatamente - diceva Mino -. Anche per non correre il pericolo di trovare, di qua e di là, qualche giudice rozzo, che ti riservi posti scomodi dove non riesci neppure a toccare un viso. Un pezzo di pane».