Sentite la chiusura della lezione, chiusura tecnica, in verità apertura di un giorno, dall'inizio alla fine delle nostre responsabilità terrene. Dice Marc Augè: «Il tatto è l'ultimo senso che sussiste tra i vecchi quando, sordi e ciechi, sembrano aver perso altresì l’odore e il sapore delle cose della vita. Talvolta è anche lo strumento della promessa suprema e dell’ultima bugia allorché, prima del naufragio finale, degli esseri umani si tengono per mano per cantare: "Non è che un arrivederci, fratelli miei"». Rinvengono, ancora, le parole della predicazione di padre Enzo Bianchi, la voce tonante a riflettere sul tocco quale incontro della prima ora e alleanza fisica per l'ultima ora. Non è la madre a consegnare la prima lingua al figlio?
Ricorre, in questa apertura-chiusura della riflessione di Augé, il filo di un pensiero che percorre il festival della presidente Francesca Nodari, dall'inizio ad oggi, i temi della necessità esistenziale: l’obbligo vitale per l’altro, la tempesta d'un orizzonte che brucerebbe nel niente di sé in mancanza di un'alleanza con l'altro da sé, l'equilibrio tra tecnologia e umanità, la disperante crescita della solitudine e l'insostenibile aumento della disuguaglianza sociale ed economica.
Il Festival incontra i filosofi sul tema del «toccare» e segue, per coerenza rintracciabile nella serietà dei loro affondi, un filo di unità tra un'interpretazione e l'altra. Come se, prima di iniziare questo viaggio, i relatori si fossero trovati e avessero diviso i compiti dello spartito.
Marc Augé concorda con Francesca Nodari sulla «grigia serialità della globalizzazione», sui pericoli dei non luoghi, sulla esasperante condizione di ripulirli e riassumerli come nuovi luoghi, una volta stabilita la regola sulla centralità e l'uguaglianza della persona. Marc Augé, viaggiatore nelle regioni del mondo e nelle regioni del corpo e dell’anima, tra moltitudini umane disposte in foreste e metropoli, è ancora più convincente quando ci porta alla sorgente del toccare: «Non è forse il tocco la certezza che esistiamo? "Tocco quindi esisto, altrimenti, il giorno in cui fossimo uno ad uno, riflessi nell'esclusiva scena sul display, in che modo potremmo riconoscerci? E che dire di chi vive nella convinzione di penetrare gli altri quasi esclusivamente nei messaggini e nella depressione gioiosa di un aeroporto: "Ticket, quindi esisto"».
Lo studioso di Poitiers analizza i due momenti dell'incontro, della relazione umana. La parte che si avvale della risposta emotiva tramite la musica, la letteratura, il cinema (nella sala dove, come sostiene Christian Metz, si consegna il proprio inconscio al film e ci si infagotta all’interno del «fantasma di un altro»). Mentre la parte più nostra, più risorgente, nel senso di un ritorno proprio alla sorgente, al nostro inizio relazionale, è il toccare con il dito, il verificare l’altro. Una recita così curiosa e diffidente in San Tommaso e talmente magica in Caravaggio nella sua opera «Incredulità di Tommaso». Siamo agli antipodi tra la necessità di entrare nella carne dell'altro e oggi la finzione di esserci attraverso la digitazione. Tommaso e Caravaggio mettono le loro dita nel corpo, Google accede neppure all'illusione del tocco, quasi lo annulla e allude a un’altra generazione (o a una degenerazione?). Esisteremo senza toccarci, potremo vivere in assenza di un riconoscimento fisico e morale? Senza stringerci la mano, senza abbracciarci?
Ora Marco Ermentini. Questa sera il Festival di Francesca Nodari, del popolo dei cinquecento deambulante tra cascine, corti, contrade, chiese, palazzi di pianura e collina mette l'accampamento a Rudiano, ai Giardini di Palazzo Fenaroli. Parla Marco Ermentini su «Vietato non toccare: abitare timido».