Ma se alla fine uno non dovesse scegliere tra Platone e Miles Davis?». Massimo Donà, nato a Venezia 59 anni fa, è l'anello di congiunzione tra l'arte del pensare e quella di suonare. Filosofo e jazzista, cattedre e libri, dischi e tournée. Mercoledì alle 21,15 sarà al cortile della Pieve dí Santa Maria Maggiore di Erbusco (se piove al Teatro Comunale) ospite del Festival Filosofi Lungo l'Oglio. La manifestazione, giunta all'edizione XII e diretta da Francesca Nodari, fino al 17 luglio porterà incontri e intelligenza in 22 località sulle sponde del fiume.
Lei che suona e ragiona insieme fa categoria a sé.
«Non so quanti ospiti possano vantarsi di essere presenti nelle vesti di tromba e voce. E quanti si portino dietro un sassofonista, Michele Polga, e un batterista, il fedele Davide Ragazzoni, mio seguace da una vita».
Le vite sono due. Partiamo da quella musicale.
«Inizio come la maggior parte dei giovani degli anni '70 col rock e il blues. Sono a Mestre, scientifico Giordano Bruno, e ho una chitarra. Incontro un tale più grande, anche lui chitarrista, che all'improvviso, un giorno, mi presenta il jazz. Scopro trombe e sax, non capisco più nulla. John Coltrane, Hornet Coleman. Boom. "Papà, voglio suonare o il sax o la tromba". Lui impreca ma poi mi presenta un amico nel giro delle band da balera. Mi insegna a leggere spartiti, studio armonia con Shostakovich. E metto su un gruppo, i Jazz Forms. Finché a Venezia capita Giorgio Gaslini, in tv, sulla Raí, famoso maestro jazz». Gaslini la adotta. «Ci prende tutti, e finiamo ogni fine settimana a studiare al Conservatorio di Milano, dove è stato appena aperto il primo corso di jazz. Alla fine dell'anno, Gaslini mi sceglie anche per la strana avventura della Solar Big Band e finisco in turnè con Giorgio Albertazzi in tutta Italia. Noi suoniamo jazz e lui recita Shakespaere. Pazzesco. E quando torno a Mestre, mi vuole pure Enrico Rava, come tromba di spalla».
Lei però è diviso, ha una seconda vita.
«Si, parallela. Sono ancora a Mestre, stesso liceo, sempre gli anni '70 e alle lezioni pomeridiane un professore mi spiega Platone. Boom. Così mi iscrivo a Filosofia, Ca' Foscari. I compagni mi avvertono che c'è un genio che insegna, mi dicono però di aspettare almeno il secondo anno. Me ne frego ed è così che mi imbatto in Emanuele Severino, che curiosamente era stato anche lui musicista in gioventù. Lo ascolto, mi prende quello che Heidegger definirebbe uno schock metafisico. Le sue parole sono la perfezione che si fa pensiero pensante in atto, per dirla con Gentile. Così capisco, è la mia vita».
E lascia la musica per un po'.
«Si. La filosofia esige studio, se ti accontenti di fare il paroliere puoi essere Panella e scrivere i testi per l'ultimo Lucio Battisti, ma io, restando al jazz, mi sentivo più Battisti. Poi tra le altre cose, incontro Massimo Cacciari, finisco al San Raffaele, prendo il ruolo di Estetica all'Accademia di Venezia. Quando ormai sono rassegnato e ho una vita comoda, mio fratello, promoter, nel 2001 mi chiede se ho voglia di tornare sul palco a 10 anni dalla morte di Miles Davis all'Arena di Mestre. Penso di aver perso la mano, invece è un successo. Capisco che non posso smettere davvero di suonare».
Arriva il punto di equilibrio.
«Me lo suggerisce Manlio Sgalambro, collaboratore tante volte di Battiato. "Perché non fai filosofia mentre suoni? Puoi anche parlare sul palco". E così da allora. Le due pratiche per me ormai coincidono. Creo legami tra i suoni così come ne creo tra parole e concetti».
Il più musicale dei filosofi? «Platone, i dialoghi sono una forma di accordo»
Il pensatore tra i jazzisti?
«Miles Davis, una specie di Hegel, ogni disco una fenomenologia della musica, ogni nota una parola».