«È una regola generale: si capisce che un mestiere si sta squalificando dal fatto che si femminilizza e viceversa. Il potere rimane invece saldamente nelle mani degli uomini, pensiamo ad ambiti come la finanza e la politica, ma pure ai posti di leadership negli istituti scolastici». E le conseguenze della femminilizzazione del settore educativo sono importanti, avverte la nostra interlocutrice. La mancanza di modelli maschili, specie nei primi ordini scolastici, in un contesto dove il padre è spesso assente (anche se meno di un tempo), condiziona piccoli e grandi.
«In primo luogo per una questione che sembra banale ma secondo me è fondamentale: la voce. Gli allievi ascoltano di normasolo voci femminili, quindi contralti e soprani. Non hanno la possibilità di sentire tenori, baritoni e bassi. Sarebbe invece importante avere una pluralità di voci che si controlla a vicenda».
Se la vigilanza tra i sessi viene meno – sostiene l’intervistata – può capitare che le insegnanti si proteggano tra loro, si lascino andare, dandosi alle chiacchiere, e non si preparino a sufficienza.
«La poca serietà porta inevitabilmente ad uno scadimento dell’insegnamento». Un altro problema dato dalla femminilizzazione del settore, indica Rigotti, è la tendenza di alcuni ragazzi a vivere la scuola come un «luogo di donne»
dal quale mantenere un certo distacco.
«Talvolta anche il rispetto viene meno. Non è facile per una maestra gestire le situazioni che si vanno creando nel contesto di una società sempre più multiculturale, che continua ad essere un teatro dominato da figure maschili. Le faccio un esempio: conosco insegnanti confrontate con ragazzi provenienti da culture che non hanno una grande considerazione della donna. Questi, ad esempio, si rifiutano di dare loro la mano, di guardarle in faccia. È molto grave. Purtroppo spesso in questi casi si chiude un occhio, evitando di mettere in discussione certe convinzioni. Si lascia andare. Si procura al ragazzo un medico e non una dottoressa ecc. Mentre bisognerebbe dire all’allievo appena arriva in classe: le cose stanno così..., qui si fa così... Le donne valgono esattamente quanto gli uomini».
E questo concetto sarebbe bene ribadirloanche in altri contesti, dice la filosofa.
«Consideriamo l’insegnamento universitario, dove le donne continuano ad essere una minoranza e parecchie di quelle che sono riuscite ad accedervi non hanno posizioni stabili. Anche in questo caso il punto di vista femminile tende ad essere sottovalutato. Per non parlare delle facoltà tecniche e scientifiche: un’accolita di professori maschi.
Questo succede soprattutto nei Paesi legati a una tradizione cattolica, al Nord è diverso (l’intervistata ha insegnato alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Göttingen, in Germania, per molti anni, ndr.)».
Per migliorare le cose – sostiene Rigotti – bisognerebbe riuscire a cambiare una mentalità radicata, pure nella nostra società, che vede la donna come una minaccia: «Ci sono ancora maschi i quali credono che, come i migranti, le donne “vengono a portarci via il lavoro”.
Che le mogli di capaci professionisti lavorano solo per comprarsi vestiti eleganti. Ma scherziamo! Di questo passo presto non si parlerà più di “prima i nostri” – già di per sé è un concetto agghiacciante che stride con la meritocrazia –ma di “prima i nostri maschi”».
E purtroppo questa mentalità contagia anche le donne. «Come dice Francesca Nodari, una giovane e brillante filosofa che non ha una cattedra perché è femmina, ci sono
donne che odiano le donne. Signore che, invece di solidarizzare tra loro, si mettono i bastoni fra le ruote. È questa cultura che dobbiamo combattere. Ma è difficile. Anche
perché, guardando televisione e giornali, ci si fa l’idea che la società sia fatta di maschi capaci e splendide donne seminude. Il modello Berlusconi, insomma, va ancora
per la maggiore».