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La filosofia è un modo di sopportare l’atroce assurdità della vita.
Quaderni di metafisica 1927/1981, Andrea Emo

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Quali sono le fonti greche della mistica speculativa?
«Il concetto stesso di mistica è greco, pre–cristiano. Scriveva giustamente Simone Weil che il padre della mistica occidentale è Platone, in particolare col suo Convito, ove si descrive il cammino di amore/filosofia che ascende, di grado in grado, dal sensibile all’intelligibile, fino al Bello in sé, che è anche il Bene in sé. È ancora Platone che conia il termine e il concetto stesso di teologia, affermando peraltro che di Dio sappiamo soltanto che è buono e che da lui vengono solo beni – niente altro – e che non dobbiamo pensare tanto di “conoscere” Dio, quanto di “farci simili” a lui (homòiosis tò theò), liberandoci dalle catene della corporeità, distaccandoci da tutto ciò che è illusorio e ascendendo verso la luce, come si può leggere nella Repubblica, nel celebre mito della caverna. Da Aristotele la mistica speculativa ha ripreso il fondamentale concetto di nous poietikòs, intelletto attivo: l’intelligenza pura, “separata”, non dipendente dal condizionamento dell’esperienza, che è eterna, divina, e costituisce l’essenza più vera dell’uomo. Questo è il concetto da cui deriva, attraverso varie mediazioni, il concetto stesso di spirito: non a caso il filosofo e teologo medievale Emerico di Campo potrà dire che “lo Spirito santo è la luce dell’intelletto attivo, che sempre risplende”, ed Eckhart ripete che lo Spirito Santo è dato solo a chi vive nella luce dell’intelletto – che è, appunto, il nous poietikòs aristotelico. Dall’eredità stoica, così profondamente passata nel mondo cristiano antico, la mistica riprende quel concetto di “fondo dell’anima” (Grund der Seele, in tedesco), o di “scintilla dell’anima”, o di apex mentis (tutte espressioni sostanzialmente equivalenti), che è quella parte, per così dire, dell’anima, che non è toccata da determinazioni di alcun genere e che è quella in cui abita Dio, e Dio soltanto. Dagli stoici viene peraltro anche la dottrina dell’amor fati, ossia l’amore per tutto ciò che avviene, visto come manifestazione della impersonale Provvidenza divina, che appare perfetta bontà e bellezza all’uomo distaccato. L’uomo distaccato, di uguale animo in ogni istante, vive così l’istante presente come eterno. Dal neoplatonismo, infine, e da Plotino in particolare, perviene alla mistica speculativa del mondo cristiano tutta la tematica dell’Uno, principio fontale dell’essere, da cui tutto eternamente proviene e tutto ritorna. Basti ricordare che proprio l’espressione stessa “teologia mistica” compare nel breve, omonimo, trattato di Dionigi detto Areopagita – quello sconosciuto autore del V–VI secolo dopo Cristo che i medievali consideravano il maestro della teologia mistica e che è tanto profondamente neoplatonico che alcuni studiosi hanno perfino messo in dubbio che fosse cristiano! Non a caso nel mondo protestante, da Lutero fino ai nostri giorni, la mistica viene guardata con sospetto e ostilità, dato che le si attribuisce un carattere appunto neoplatonico e non biblico–cristiano. Dal neoplatonismo proviene anche il concetto di ineffabilità dell’Uno, e quindi il carattere appunto “mistico” – che significa originariamente riservato, silenzioso, segreto – dell’esperienza dell’Uno: quell’estasi che è prima di tutto un en–stasi, ossia un rientrare in se stessi, nel più profondo dell’anima nostra (ricordiamo ancora una volta l’appello di Agostino: “In te ipsum redi”, rientra in te stesso…)».

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Giovedì, 01 Dicembre 2011 01:00

Dialogo con Paolo Becchi - Dignità del morire

Il corpo è unicamente il corpo di questo e di nessun altro cervello, così come il cervello è unicamente il cervello di questo e di nessun altro corpo. […] Ciò che è sotto il controllo centrale del cervello, l’intero corpo, è così individuale, così tanto “me stesso”, così unicamente appartenente alla mia identità (impronte digitali! reazione immunitaria!), così non intercambiabile come il cervello stesso che lo controlla (e reciprocamente ne è controllato). La mia identità è l’identità dell’organismo intero e interamente individuale, anche se le funzioni superiori della persona hanno la loro sede nel cervello. Come potrebbe altrimenti un uomo amare una donna e non semplicemente il suo cervello? Come potremmo altrimenti perderci osservando un volto? Essere toccati dall’incanto di una figura? È il volto, è la figura di questa persona e di nessun’altra al mondo. H. Jonas, Against the Stream

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Concetto che si dice in più modi, mantenendo, per lo più, un significato che si è affermato dal ’500 in poi – negli anni della Controriforma – quando per mistica si intendeva un’esperienza di eccezionalità spirituale, la mistica viene spesso confusa con esperienze vicine al visionarismo o all’irrazionalità – si pensi, soprattutto, agli autori anglosassoni. Per non dire dell’Enciclopedia francese delle mistiche ove si distingue, addirittura, tra mistica hippy o dei tarocchi, ponendo l’accento sull’aspetto misterico del concetto in questione. In realtà si tratta di trasposizioni di significato che rischiano di oscurare l’essenza stessa della parola, nata prima come aggettivo di teologia o interpretazione e, solo in un secondo tempo, impostasi come sostantivo.

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Sabato, 02 Ottobre 2010 04:33

Intervista a Maria Rita Parsi - Da donna a donna

Cosa significa essere donna oggi? Attorno a questo interrogativo che ne contiene molti altri, abbiamo incontrato Maria Rita Parsi psicoterapeuta, scrittrice e saggista, ma soprattutto, crediamo, una Donna infati cabile nella difesa dei più piccoli e dei loro diritti, Donna di una capacità d’analisi finissima e insieme grande interprete del femminile tra i chiaroscuri della complessità con- temporanea.

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"L’ idolatria è dovuta al fatto che pur avendo sete del bene assoluto, non si possiede l’attenzione soprannaturale: e non si ha la pazienza di lasciarla nascere."
S. Weil

Si è tenuto lo scorso 28 gennaio l’atteso incontro intitolato: «Quale dialogo tra le religioni?», promosso dalla CCDC in collaborazione con l’Ufficio Pastorale per l’Ecumenismo e i Padri della Pace. Relatore d’eccezione è stato Bernhard Casper, professore emerito all’Università di Friburgo, considerato uno dei massimi filosofi della religione viventi. Nato a Trier nel 1931 e abilitatosi nel 1967, Casper è stato allievo di Bernhard Welte, del quale sta curando la Gesammelte Schriften per l’editore Herder. Conosciuto dal pubblico italiano per numerosi saggi frutto, in particolare, dei tradizionali incontri ai Colloqui Castelli e delle molteplici lezioni magistrali tenute in diversi atenei italiani, Casper si è imposto nel dibattito filosofico contemporaneo proprio per la sua impostazione teoretica innovativa, la quale pur proseguendo lungo la linea della tradizione ermeneutica, la oltrepassa confrontandosi in maniera originale con il pensiero ebraico del ‘900. Per l’occasione lo abbiamo incontrato.

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I testi che seguono sono il frutto di un affollatissimo incontro organizzato dalla Cooperativa Cattolico–democratica di Cultura in collaborazione con i Padri della Pace il 4 marzo nell’ambito del denso programma di manifestazioni culturali svoltesi nel corso dell’anno. Quale forma se non quella peculiarmente filosofica del dialogo scegliere per parlare della speranza? I protagonisti sono d’eccezione: da un lato, Mons. Luciano Monari, Vescovo di Brescia e noto biblista, dall’altro, Salvatore Natoli, docente di filosofia teoretica all’Università Bicocca di Milano e conosciuto come il filosofo dell’etica del finito. Due mondi che si incontrano, un credente e un non credente, un teologo e un filosofo, ma soprattutto due uomini che, pur muovendo da orizzonti diversi, sanno confrontarsi e misurarsi secondo lo stile di chi sa rispettare gli orientamenti reciproci in un clima di profonda stima e di vero ascolto.

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Il corpo è l’estensione dell’anima fino all’estremità del mondo e fino al confine di sé, l’uno nell’altra, intricati e indistintamente distinti, estesi, tesi fino a spezzarsi». Jean–Luc Nancy, Indizi sul corpo «Prima di essere uno spazio geometrico, prima di essere l’ambiente concreto del mondo heideggeriano, il luogo è una base. Perciò il corpo è l’avvento stesso della coscienza. Non è affatto una cosa. E non solo perché è abitato da un’anima, ma perché il suo essere appartiene all’ordine dell’evento e non del sostantivo. Esso non si pone, è la posizione. Non si situa in uno spazio già dato – ma è l’irruzione nell’essere anonimo del fatto stesso della localizzazione. - Emmanuel Lévinas, Dall’esistenza all’esistente

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«Cambia l’idea stessa e la forma del filosofare. Si passa dal modello dello spettacolo a una più ampia esperienza di relazione. L’indagine filosofica, nel suo procedere e nei suoi risultati, diviene infatti espressione ed esposizione del filosofare stesso. Certo: di ciò va data anche la teoria, una teoria animata da motivazioni etiche. Ma non solo: va attuata e sollecitata la messa in opera, la possibile realizzazione. Affinché – attraverso la ricerca e la forma del libro in cui essa, in questa contingenza, viene ad esprimersi – possano compiersi nuovi ulteriori coinvolgimenti». Adriano Fabris, TeorEtica
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Le Video lezioni

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