Docente del modulo tematico sulla Pedofilia nel master di Scienze Forensi dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Maria Rita Parsi svolge da anni un’intensa attività didattica e di formazione presso atenei, istituti specializzati, associazioni private. Durante il suo percorso di crescita professionale ha potuto studiare, formarsi e collabo- rare con grandi maestri italiani della sociologia (Ferrarotti, Antiochia), della pedagogia ( Lucio Lombardo Radice, Bernardini, Manzi), dell’an- tropologia (Di Nola), della psicolo- gia (Canestrari, Spaltro, Ancona, Morino Abbele), della neuropsichia- tria infantile (Bollea), della psicana- lisi (Musatti, Mazzonis, Di Giulio), della sessuologia (Baldaro Verde), della psicoterapia (Marolla, De Sil- vestri, De Marchi, Festa, Lo Iacono); ed anche con stranieri, tra i quali, Ronald Laing, Alexander Lowen, Rollo May. Ha elaborato una meto- dologia psicologica della «Psicoani- mazione»: ha fondato e dirige la SI- PA (Scuola Italiana di Psicoanima- zione). Negli ultimi trent’anni, ha formato migliaia di persone con la metodologia a mediazione creati- vo–corporea – da lei ideata e messa a punto – per lo sviluppo del potenzia- le umano: da psicologi a insegnanti, da manager a professionisti, da geni- tori a persone spinte dal desiderio di migliorare la propria vita.
Il 3 agosto 1992 Maria Rita Parsi ha dato vita all’Associazione Movimento Bambino – divenuta ufficialmente nel 2005 Fondazione Movimento Bambino – che conta cinque centri (Roma, Mi- lano, Cosenza, San Vendemmiano e Mazara del Vallo) e fulcri in tutta I- talia e nella Svizzera Italiana, per la diffusione del pensiero e dell’arte dei bambini contro gli abusi e i maltrat- tamenti e per la tutela giuridica, so- ciale, culturale dei ragazzi. Collabora con molti quotidiani e periodici con rubriche settimanali e ha partecipa- to, tra le prime in Italia, a partire dall’esperienza del D.S.E. (Diparti- mento Scuola Educazione della Rai), a numerose trasmissioni televisive in qualità di psicologa e opinionista.
Prof.ssa Parsi, qual è stata la sua esperienza di donna attraverso il femminismo?
«Come tutte le ragazze della mia ge- nerazione ho fatto parte di un'epoca in cui le donne hanno cominciato a lottare per la propria emancipazione e liberazione e, quelle lotte, sono sta- te le mie. Venivamo da una genealo- gia di donne e di madri che nella lo- ro vita avevano sperimentato solo diritti negati. Allora, mettere al mondo figli, crescerli, gestire una ca- sa erano considerati non lavoro ma una sorta di privilegio. Prima dei mo- vimenti femministi, le donne stesse non si rendevano conto della mole enorme di lavoro, fatica e responsa- bilità che portavano avanti in casa e fuori. Oltre ai lavori domestici, infat- ti, svolgevano un mare di attività collaterali: sarte, maglieriste, modi ste, andavano a servizio... sempre pa- gate in nero e, a parità di lavoro, me- no degli uomini. Donne intelligenti che non avevano potuto studiare perché la scuola era riservata ai ma- schi. Vengo dalla presa di coscienza di donne che, pur svolgendo un la- voro sottovalutato, erano, in realtà, la locomotiva della famiglia italiana, perché era intorno al lavoro delle madri che girava l'economia di tutta la famiglia. Solo adesso se ne può contabilizzare l'enorme impatto mo- netario. Adesso che paghiamo salari per accudire i figli, gli anziani, a te- nere le case in ordine a baby sitter, badanti, colf. Ucraine, moldave, fi- lippine, peruviane... Donne, comun- que. Appartengo a una generazione di donne che si sono mosse per e- manciparsi, che hanno voluto stu- diare e mandare a scuola le loro bambine. Donne che sono andate verso il mondo del lavoro coscienti del proprio valore e che hanno por- tato dentro la famiglia il loro pensie- ro, la loro voglia di sapere, il loro modo di essere e di guardare il mon- do trasformando radicalmente la so- cietà. I miei studi hanno coinciso con quel fermento e, insieme alle al- tre, ho partecipato a tutte le batta- glie per i diritti. La “pillola” è stata decisiva per liberare le donne dalla vergogna. La vergogna di dover fare un figlio comunque, di dover sposare un uomo che non voleva, dell'ab- bandono che l'avrebbe bollata per sempre “ragazza madre”. Una vergo- gna che era diventata intrinseca al corpo stesso delle donne. La batta- glia per gli anticoncezionali ci ha liberato dalla vergogna di possedere un corpo eccessivo e ci ha aperto la via dell'emancipazione e della libera- zione sessuale. Una felicità dimenti- cata da quando l'Aids, una malattia che se l'avessero inventata non sa- rebbe venuta meglio, ha seminato di nuovo la paura del corpo».
Come è tratteggiata la figura del- la donna nella storia della psico- logia? Quali pensatrici ricorda in particolare?
«Se psicologia significa “parole del- l’anima”, allora la psicologia è don- na. Perché l’anima è al femminile. Jung avrebbe detto “anima” e “ani- mus”. Ma se per la filosofia l’anima nasce dalle parole, se per la psicolo- gia sono le parole a “fare anima”, al- lora noi donne siamo il laboratorio biochimico che produce anima. È con la madre che i bambini impara- no “la lingua madre”. È lei dunque che “crea” anima. Ma anche la psi- cologia come scienza della comuni- cazione e del comportamento ha in- timamente a che fare col femminile. La prima relazione oggettuale è, in- fatti, quella madre/bambino; è a par- tire da questa coppia primaria che gli uomini e le donne vengono forgiati. La stessa storia della psicologia è se- gnata da pensatrici formidabili. Ad incominciare da Anna Freud che ri- mase vicino al padre, Sigmund Freud, assistendolo e curandolo sino alla morte di lui. L’interesse di Anna per la psicanalisi nasce, nel 1918, do- po che il padre l’aveva analizzata (cosa oggi deontologicamente inac- cettabile). Non si sposò ma visse un amore durato 54 anni per Dorothy Burlington “la mia gemella omozigo- te” diceva, e una inimicizia duratura per Melanie Klein, allieva poco ap- prezzata di Freud, ma genio assoluto della psicanalisi. Dopo l’occupazione di Vienna da parte dei nazisti Anna, costretta a rimanere in Inghilterra, stringe legami di amicizia con la principessa Marie Bonaparte che era stata una paziente di Freud e poi di- ventata sua devota ammiratrice, fi- nanziatrice e seguace. Allieva di Freud è anche Lou Andreas–Sa- lomè. Donna di audace intelligenza e dalla vita inconsueta, era nata a San Pietroburgo nel 1861. Stimata amica e mancata amante di Friedrich Nietzsche, amante e forse amica del filosofo Paul Rée e del poeta Rainer Maria Rilke, incontra Freud all’età di 50 anni, nel 1911. Da allora e sino alla morte si dedicherà alla “scienza giudea”. “Ha saputo coniugare li- bertà conoscenza indipendenza e gratitudine”, hanno scritto le donne psicanaliste in rete nel forum a lei dedicato. Ma chi ha saputo guardare la psicanalisi da un punto di vista, consapevolmente, di genere è stata Karen Horney. Psichiatra e psicana- lista tedesca di origine olandese, Horney ha operato soprattutto negli Stati uniti. Nelle sue opere ha posto l’accento su come lo psichismo e il comportamento individuale siano influenzati dalle condizioni sociocul- turali. Tra le allieve di Jung la più fa- mosa è la svizzera Marie–Louise von Franz. Per lei la cosa più sana che gli uomini possano fare è seguire i pro- pri “sogni” che ci indicano “come realizzare il nostro destino”. Come non citare, poi, Alice Miller, filosofa e pedagogista, morta il 14 aprile di quest’anno,che ne La persecuzione del bambino. Le radici della violenza (Bol- lati Boringhieri, Torino 2007) ci ha lasciato un testo fondamentale per gli studi sull’infanzia dimostrando come i bambini abusati e maltrattati saranno adolescenti disturbati, geni- tori maltrattanti e che tutto questo è all’origine della violenza del mondo. Le donne poi sono state tante e es- senziali nel campo della pedagogia. Qui voglio ricordare, almeno, Rosa e Carolina Agazzi che hanno aperto le prime scuole materne in Italia e Ma- ria Montessori, il cui metodo di inse- gnamento è tutt’ora di potente at- tualità».
Se il ’900 è stato il secolo che ha visto grandi donne affacciarsi al mondo della storia, della scienza, della filosofia, della cultura quale ruolo gioca oggi la donna nella società contemporanea? L’eman- cipazione femminile non ha forse raggiunto un punto morto? Si pensi a ripetuti episodi di stalking nei luoghi di lavoro, si pensi alle violenze – spesso consumate si- lenziosamente nelle mura dome- stiche – , alle minacce, ai ricatti subiti dalle donne...
«Ogni volta che una avanguardia tenta di mettere in discussione le ge- rarchie di potere consolidate viene denigrata, divorata, frammentata, derisa, distorta, e, se non basta, di- strutta. Ogni movimento che aveva il sé il segno del cambiamento ha, si no ad ora, fatto questa fine. Il futuri- smo è stato appiattito sul fascismo, il marxismo nel socialismo reale. Il movimento delle donne avrebbe po- tuto diventare un nemico formidabi- le capace di rinegoziare spazi di li- bertà. Il riappropriarsi da parte delle donne della loro cultura sarebbe sta- to un detonatore di diversità, che non si sarebbe appiattito sul modello di mondo costruito dai maschi. E al- lora bisogna distruggerlo. Nel ‘600 ci hanno pensato i roghi dell’Inquisi- zione ,oggi la televisione e il merca- to. Il successo è ottenuto a colpi di sciatteria comportamentale e volga- rità, sentimenti esposti come abiti stesi, l’amore è venduto a ore, i soldi comprano tutto, la bellezza è l’unico ornamento del femminile e così quel formidabile movimento che voleva trasformare il mondo attraverso il sa- pere e il sentire delle donne è diven- tato l’anticamera delle escort. E fem- minismo una parolaccia. Ma non senza la complicità di alcune donne che si sono fatta abbagliare dal lucci- chio degli specchietti per le allodole e, invece di partire da sé, sono parti- te dal “come tu mi vuoi”. Contri- buendo a depotenziare la bellezza di un movimento e la sua originale ri- cerca e a trasformare in corpo delle donne in merce tra le merci. Natu- ralmente un movimento in difficoltà apre le porte alla controriforma. A li- vello di famiglia come a livello di so- cietà. Lo stalking è la forma più pri- vata di un modo di rimettere la don- na al suo posto. Barbaro e violento a- datto a chi ha pochi strumenti. Ma gli impedimenti posti a certe leggi, le persecuzioni sottili a livello econo- mico, professionale, salariale sono la stessa identica cosa. Il metodo è più raffinato, forse, ma altrettanto fero- ce».
Che cosa rappresenta, nella sua ottica, il corpo delle donne? Quanti diritti vengono negati alle donne, quanti orrori ne segnano ancora la sottomissione. Citiamo, tra i numerosi paradigmi negati- vi, la diffusa pratica dell’infibula- zione o ai delitti che vedono trop- po spesse donne come vittime...
«I maschi non sono forti come vor- rebbero apparire né come le donne vorrebbero che fossero. I maschi so- no – anche e soprattutto – fragili. Il loro problema è che nascono da un corpo mirabile, onnipotente che non sarà mai il loro. Per questo il loro prepotente desiderio è “re–infetarsi” nella grotta, nell’Eden felice che contiene, nel pieno protettivo del grembo materno la cui impronta contrasta così dolorosamente con il vuoto che il neonato trova quando esce “alla vita”. E “alla morte” an- che. Il neonato è immediatamente consapevole, nel proprio corpo, della propria assoluta debolezza e dipen- denza. Con il primo pianto disperato “dice” che ha fame, sete, freddo e che senza la madre muore. Nel grembo non c’era dolore, le endorfi- ne naturali lo proteggevano, era in Paradiso. Esce ed è l’inferno. Maschi e Femmine si nasce. Ma la cosa è in- commensurabilmente diversa poi- ché, crescendo, la donna porta, sul e nel proprio corpo, le forme della prima accoglienza, del primo contatto, del primo calore, del primo odore. Avrà il seno che allatta, avrà il grem- bo che accoglie e contiene, avrà il Paradiso– Grotta dal quale tutti sia- mo usciti per nascere. Per lei il Para- diso non è perduto. Le appartiene; forma l’incanto, la natura stessa del- la sua identità di genere sessuale. Gli uomini, crescendo, invece, perde- ranno le forme del corpo della ma- dre. Il loro corpo quindi tenderà, per sempre, al “ritorno”; sentirà, per sempre, il richiamo della Grotta, del Grembo, desiderato e per questo in- vidiato. L’uomo che ha perso il rap- porto primario con la madre, che è stato un bambino disturbato, sedi- menta un odio non tanto per quella singola donna che non lo vuole più ma per tutte le donne. Il loro proble- ma è il corpo delle donne perduto per sempre, il loro problema è re–in- troiettarlo. Desiderio impossibili che li porta a uccidere e spesso a suici- darsi. L’infibulazione sta nella stessa logica. Gli uomini sanno che il pia- cere può portare via la donna. Me- nomarla implica, quindi, toglierle questa possibilità, tenerle a sé. C’è, insomma, chi infibula mentalmente e chi infibula 100 milioni di bambi- ne!».
Si può parlare – e se sì – in quali termini di un femminismo di ri- torno?
«Il femminismo degli anni sessanta è morto, ma come ogni avanguardia ha seminato coscienza e consapevo- lezza. Anche la scienza riconosce, ormai, la differenza fra cervello ma- schile e quello femminile, tra ruoli maschili e femminili. Il portato più significativo di quel processo di libe- razione ancora in atto è, per ora, la cultura dell’infanzia e dell’adole- scenza».
Chi è più fragile oggi: l’uomo o la donna?
«Non stiamo a fare la gara tra chi è più fragile. L’essere umano è di una fragilità totale e ne deve prendere coscienza. La vera rivoluzione sarà quando l’uomo saprà accettare, in- dagare e riconoscere quella fragilità. Scoprirne la forza e cambiare nel profondo. Passaggio necessario per cambiare “alle radici” la società. Nel cuore dei maschi, quella nascosta, rinnegata fragilità (quel “vizio di ori- gine” che li costringe a raccontare di essere nati dal fango, primi nella mente di Dio, per far nascere, poi, la donna da una loro costola) s’è fatta, nel corso del tempo, troppe volte, lu- ciferina invidia, paura delle donne e della loro potenza, competizione co- stante con gli altri maschi, ambiva- lenza, senso di inadeguatezza, arro- ganza, bisogno di dominare, ferire, uccidere. Hanno dovuto crearsi il “capro espiatorio” per distruggere nei fragili “designati” (donne, bambi- ni, malati, diversi, perdenti) la loro stessa fragilità. Accettarla, invece, potrebbe essere per i maschi, una li- berazione; il primo passo verso una straordinaria rivoluzione sociale ed umana che non avrà più bisogno di opprimere la donna per sentirsi uo- mo. E la donna, quella che si è co- struita attraverso un lungo percorso di consapevolezza verso la propria li- berazione e avrà coscienza e dignità, non avrà più bisogno di castrare i fi- gli maschi e renderli tristi e infelici, né di manipolare gli uomini per con- quistare l’ombra del potere».
Nella sua sterminata produzione saggistica, due sembrano essere le architravi della sua argomenta- zione: il pensiero bambino, da un lato, l’invidia del grembo, dall’al- tro. Ci può spiegare questo fon- damentale snodo ermeneutico interpretativo che attraversa le Sue opere?
«Per me invidia del grembo e pensiero bambino stanno all’origine del pensa- re umano. Il pensiero bambino è una attenzione, un ascolto a ciò che i fanciulli esprimono, al loro modo o- riginale di pensare. Che si può armo- niosamente sviluppare solo se sono rispettati i passaggi della crescita e se la madre viene messa in condizioni di vivere una maternità serena con accanto un partner che non sia un persecutore della figura femminile. Perché il primo cibo del bambino so- no il latte materno, le sue carezze, le sue parole, la sua presenza. Dunque, per me, lo snodo fondamentale della vita di ciascun essere umano è l’ar- monia della triade: madre, padre, fi- glio. E la Sacra famiglia ne è il para- digma. Maria è il grembo a cui si ri- volge lo Spirito Santo perché si fac- cia umano ciò che è divino. Giusep- pe, non padre biologico ma padre dell’anima, è colui che la accompa- gna e la protegge; padre per scelta e per amore, che capisce Maria e le crede. Crede che Maria abbia conce- pito vergine e che il bambino sia “fi- glio di Dio”. Metafora straordinaria questa, di un uomo che crede che o- gni bambino sia divino e di una don- na che capisce che i figli non le ap- partengono, ma vengono “attraver- so” di lei. Per me, non credente, la Sacra famiglia ha un valore profon- damente umano, e insieme sacro perché sancisce la divinità di ogni bambino. Lo snodo è dunque dentro la metafora: il benessere di Maria vi- gilato dal coraggio di Giuseppe e dal credere alla divina unicità di ogni nuovo nato».
Come psicoterapeuta e come scrittrice il suo rapporto con la fragilità umana è quotidiano. In quale modo il paradigma della madre può costituire il phar- makon di perseguitati e persecu- tori, di aguzzini e di abusati/e, in generale, della vulnerabilità u- mana che è cifra di un’esposizio- ne in cui rientrerebbe anche il “carnefice” messo in scacco dalla propria malattia o follia?
«Il pharmakon, lo ribadisco, è la fami- glia come luogo di benessere e poi- ché sono i riti che creano i legami, la famiglia deve darsi riti d’amore e di rispetto. Nella famiglia, “spazio del sacro”, non può esserci offesa ma ri- conoscimento alla autorità della ma- dre, vestale e sacerdote di un rito che è il rispetto del bambino come prodigio. La vita é dono solo se la madre, e di conseguenza il bambino, non avranno subito persecuzioni, of- fese, disamori, tradimenti e infamie. Proprio non possiamo accettare che i bambini siano perseguitati. Non si tratta solo di un problema familiare ma, come sostiene Alice Miller, ri- guarda tutta la società. Perché è suc- cesso e succede che le vittime della violenza si siano trasformate in car- nefici, diventando gli esecutori di dittatori brutali riproducendo per i- gnoranza un modello di violenza che si perpetua nei secoli, ciecamente tollerato perché “l’origine della vio- lenza umana durante l’infanzia è sta- ta ed è ancora ignorata in tutto il mondo”».
Viviamo nell’era della comples- sità dove le distanze spazio–tem- porali si sono accorciate, per non dire annullate; le possibilità di in- contro moltiplicate, le culture mescolate. Eppure vi è un diffuso sentore di solitudine, di mal–es- sere che ci fa riscontrare la diffi- coltà oggettiva del soggetto con- temporaneo di seguire, per usare un’espressione natoliana, l’anda- tura del mondo. Ridotto a mera funzione e numero, l’umano an- naspa tra l’incapacità di fronteg- giare le difficoltà – di divenire, davvero, signore di sé e lo sgreto- larsi dei rapporti interpersonali, primo fra tutti, quello di coppia. Come è cambiato oggi il rapporto uomo–donna? E nel gioco delle parti delle così dette famiglie al- largate, quale slittamento di si- gnificato hanno subito i ruoli di padre, madre, figlio/a?
«Ad un certo punto, scrive Antoine de Saint–Exupèry, Il Piccolo Principe solo e triste incontra una volpe e le chiede, “Vieni a giocare con me?”. “Non posso”, risponde la volpe. “Non sono addomesticata”. “Addo- mesticata cosa vuol dire?” chiede il principino. “ È una cosa da molto tempo dimenticata, vuol dire creare legami”, ribatte la volpe. Il piccolo principe lo farebbe ma non ha tem- po, ha così tante cose da conoscere! “Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, gli fa notare la vol- pe. “Gli uomini non hanno più tem- po per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma sic- come non esistono mercanti amici, gli uomini non hanno più amici”. Anche noi abbiamo bisogno di riti per creare legami. Ma per i riti, come dice la volpe, ci vuole tempo. Molte delle famiglie attuali sono disfunzio- nali perché non hanno tempo da de- dicare ai figli. Eppure è il tempo il più grande regalo che gli possiamo fare, il tempo per conoscersi, per se- dere l’uno accanto all’altro, per ave- re bisogno l’uno dell’altro e, poi, po- ter operare quel distacco che con- sente alla memoria di conservare il ricordo con amore. “Cosa ci guada- gni se piangerai quando me ne an- drò?”, chiede il piccolo principe alla volpe. “Il colore del grano”, rispon- de. Ci guadagna quella categoria del- l’anima, che è il ricordo. Ecco perché la psicanalisi è ricordare la propria storia attraverso le parole. E non può essere il rito della merce. Né un rap- porto al telefonino o al computer. Per capire basta guardarli i bambini annoiarsi con i mille preziosi giocat- toli che gli regaliamo e che dimenticano subito dopo averli scartati; feli- ci e mai stanchi di giocare con le mollette del bucato o pelare i fagioli se con loro c’è la nonna o la mamma. I bambini hanno bisogno di parole, di un fare insieme, di calore, di pen- sieri dedicati a loro. Le coppie si sgretolano. E non è detto che sia di per sé un male. Ma quello che l’uo- mo e la donna devono sapere è che per costruire un rapporto di coppia autentico, prima, bisogna conoscere se stessi. Occorre darsi tempo. Oggi se non si ha tempo per costruirne u- no, se ne costruisce un’altro e poi un’altro ancora. Come killer seriali! Vero è però che, alla fine, tutte que- ste ex coppie possono (e sarebbe op- portuno), se non si apre una feroce conflittualità fra i diversi clan, for- mare una tribù solidale».
Recentemente ha condotto una ricerca dal titolo: «Il bacio oggi. Dal significato senza tempo delle fiabe delle principesse al suo va- lore nella società moderna» su un sondaggio lanciato da Witch, il mensile di casa Dysney che da 9 anni è nel cuore delle teenager non solo italiane. Il mensile ha chiesto alle sue lettrici di rispon- dere ad una serie di domande de- dicate al primo bacio, vero o de- siderato, al significato e al valore che danno a questo momento in- dimenticabile. Ci può spiegare a quali risultati ha condotto questa indagine e quale idea di amore, di coppia, di relazione scaturisce dalle circa 150 risposte raccolte?
«La ricerca di Witch si proponeva di rispondere al quesito: come vedono il primo bacio oggi le preadolescen- ti/adolescenti, dai 9 ed i 13 anni? Su un campione di 149 ragazze, 98 non avevano mai baciato, quindi si affi- davano alla immaginazione mediata dai film, dalla televisione, dai rac- conti veri o falsi rubati a amiche più grandi. Cinquantuno ragazze, inve- ce, avevano già ricevuto il loro pri- mo bacio e lo raccontavano con en- fasi positiva, pur con qualche voce discorde. Ma anche qui il riferimen- to non sono i genitori ma i baci da film, di un cartone animato, persino, delle pagine di una tragedia. Un pri- mo bacio dunque sempre fiabesco, da illustrazione, con l’immancabile contorno di batticuori, fuochi d’arti- ficio interiori, pleniluni, sempre indi- menticabile, eccezionale, in riva al mare col tramonto. Come se l’imma- ginario delle ragazzine di oggi non fosse cambiato di un centimetro da quello delle loro nonne. Anche se poi, magari, vanno a fare le cubiste nei locali, o si buttano via solo per essere accettate nel gruppo dei ma- schi. Una contraddizione così stri- dente tra sogno e realtà che non può che produrre frustrazione e il germe di una miscela esplosiva».
Quali motivi l’hanno spinta a co- stituire la Fondazione Movimen- to Bambino, da Lei presieduta?
«È una storia che viene da lontano, dal Collettivo Gramsci che, nel 1974, apriva centri culturali poliva- lenti per bambini e adolescenti nelle borgate romane di periferia, feste per migranti e proiezioni di film d’autore, laboratori creativi la mat- tina nelle scuole, e nei pomeriggi nei garage dei palazzoni occupati. Non- ché incontri e seminari con le don- ne sulla contraccezione e sulla con- dizione femminile. Una enormità di materiale archiviato nel sito www.movimentobambino.it. Negli anni ottanta e, per cinque anni con l’aiuto e i finanziamenti del Tea- tro–Scuola e del Teatro di Roma, si è trasformato nella Società di Psi- coanimazione continuando un’atti- vità che coinvolgeva bambini, adul- ti, anziani, donne. Lavoravamo in circoscrizioni grandi come città: Centocelle, Quarticciolo, Tor Tre Teste, Pietralata. A San Basilio, allo- ra cuore coatto di Roma, ho scritto Animazione in borgata. A Forte Pre- nestino, c’era di tutto: guardie peni- tenziarie e carcerati, sinti e rom, e- roina e spaccio. Vere e proprie ban- lieu parigine. La nostra idea era co- niugare assieme psicologia e anima- zione e introdurla nelle scuole. Il movimento bambino è l’estensione naturale di quei prima collettivi. Nel 1989, poi, l’Onu lancia la Carta dei Diritti dei Bambini e in noi nasce l’i- dea di dare vita all’Associazione Mo- vimento Bambino, che nel 2005 di- venta Fondazione e che mira alla tu- tela dei diritti dei bambini».
Quali sono le sue future prospet- tive di ricerca?
«Con il supporto finanziario della Fer- rero abbiamo stilato la Carta di Alba, che si propone di fare ricerca e creare modelli psicopedagogici di intervento per un mondo a misura di bambino. Come si fa la televisione rispettando i bambini, come si fa la giustizia, la scuola, come li si difende da gli abusi sessuali in casa o su internet, corsi per genitori con la patente, film per adole- scenti...Insomma un pensiero bambi- no, per la messa in opera di un mondo a misura di bambino e di una società che siano capaci di darsi futuro».
Ma, a proposito di tempo, come riesce a conciliare plurivoche at- tività nella sua frenetica vita quo- tidiana?
«Veramente la scommessa è di svolgerle insieme ad un collettivo, che per me è sempre il Collettivo Gramsci. È stata la mia maniera di fare famiglia, di combattere la soli- tudine e non tradire quello in cui credevo anche se, con gli anni sia- mo dovuti passare dal pubblico al privato. Forse perché, come mio padre e mia madre, credo nell’im- presa. Poi, lavoro, 18 ore al giorno al progetto a cui dedico questa par- te della mia vita».
Articolo pubblicato sul numero 101 di Città&Dintorni