Quasi in punta di piedi, per lo più nel silenzio, preoccupati non tanto di salvarsi, ma di salvare. Qui di seguito sono riportati i nomi e le motivazioni dei Giusti onorati: la signora Amneris Manenti (1922-2014) che si è prodigata rischiando la propria vita e mettendo in pericolo quella dei suoi cari per aiutare la famiglia Levi a sfuggire alla polizia fascista ed alla deportazione nascondendo il padre e la madre in istituti religiosi in provincia, mentre il figlio fuggiva sulle colline diretto al passo dell’Aprica. La signora Amneris, con tenacia e coraggio, riuscì persino a raccogliere il denaro necessario alla famiglia, una volta ricongiuntasi ad Edolo, per attraversare il confine svizzero nella zona di Tirano. La fuga, come attesta il Libretto per rifugiati n. 17460 del giovane Gianfranco Levi e la dichiarazione della Polizia cantonale, avvenne il 6 dicembre 1943. Dopo la liberazione Gianfranco Levi convolò a nozze proprio con chi gli salvò la vita.
I sette monaci trappisti – questi i loro nomi: Christian de Chergé, 59 anni, in Algeria dal 1971; Luc Dochier, 82 anni, in Algeria dal 1947; Christophe Lebreton, 45 anni, in Algeria dal 1987; Michel Fleury, 52 anni, in Algeria dal 1985; Bruno Lemarchand, 66 anni, in Algeria dal 1990; Célestin Ringeard, 62 anni, in Algeria dal 1987; Paul Favre-Miville, 57 anni, in Algeria dal 1989 – sequestrati dal loro monastero presso Tibhirine, in Algeria, nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, e uccisi il 21 maggio seguente. Il sequestro fu rivendicato dal Gruppo Islamico Armato, che propose alla Francia uno scambio di prigionieri. Dopo inutili trattative, i terroristi annunciarono l'uccisione dei monaci, le cui teste furono ritrovate il 30 maggio; i corpi non furono invece mai ritrovati. I sette monaci mai avevano smesso di portare il loro aiuto e il loro ascolto alla popolazione algerina aprendosi alla cultura e alla religione islamica in un paese dove si moltiplicavano le intimidazioni e gli omicidi di giornalisti, cristiani, ebrei, curdi, civili. Essi sono la testimonianza di un’esistenza che «afferma la vita in un contesto dove si uccide». Sono la trascrizione incarnata dell’essere decisi per il dono, di un amore più forte dell’odio.
Primo Levi (1919-1987) Häftling n. 174.517, che visse in prima persona il dramma dei lager, non disgiungendo mai la volontà di capire dal desiderio di agire. Ebbe la forza di non far svanire la tragedia di cui fu testimone oculare e vittima trasponendolo mirabilmente nei suoi libri: celebre il monito che scaturisce da Se questo è un uomo, indelebili le sue descrizioni del Muselmann, degli Untermenschen, del Sonderkommando, della Zona grigia, della «sofferenza del giorno, fatta di fame, percosse, freddo, fatica, paura e promiscuità», che «si volge di notte in incubi informi di inaudita violenza». Di questa esperienza ci ha offerto una ricognizione puntuale, con il piglio oggettivo del chimico. Sopravvisse ad Auschwitz ma non riuscì mai a trovare una ragione del suo essersi salvato, mosso da un’inquietudine senza tregua per i sommersi e insieme dalla sforzo di cercare un ordine delle cose nel caos di un mondo rovesciato.
Armin T. Wergner (1886 – 1978) poeta e intellettuale tedesco, giusto e testimone di verità per gli armeni e per gli ebrei. Nel quadro dell’alleanza tra la Germania e l’Impero Ottomano, durante la prima guerra mondiale ha prestato servizio nel settore sanitario dell’esercito tedesco in Medio Oriente. Wegner fu testimone oculare del genocidio del popolo armeno, il primo del ventesimo secolo, perpetrato dal Governo dei Giovani Turchi nei deserti della Mesopotamia. Eludendo i divieti delle autorità turche e tedesche, ha scattato centinaia di fotografie nei campi dei deportati, documentando, anche con lettere e diari, la tragedia del popolo armeno. Espulso nel 1916, continua in Germania il suo impegno di denuncia. Nel 1919 con una lettera al Presidente americano Woodrow Wilson perorò invano la causa degli armeni. Nel 1933 fu l’unico intellettuale tedesco che ebbe il coraggio di denunciare la persecuzione degli ebrei in Germania in una lettera aperta al Führer. Wegner fu arrestato dalla Gestapo, imprigionato e torturato nei campi di concentramento nazisti. Dopo il suo rilascio, fu costretto all’esilio e si stabilì in Italia, continuando a impegnarsi nel suo ruolo di testimone di verità contro ogni forma di negazionismo.
Auguriamo ai nostri spettatori sensibili e a chiunque fosse interessato una felice visione.