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Giovedì, 21 Agosto 2014 09:13

Nathan Sharansky: «L’idea dell’Europa morirà qui e sopravvivrà in Israele»

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l'estratto di un'interessante intervista a Nathan Sharansky, Presidente dell'agenzia ebraica.

Credo che stiamo assistendo al principio della fine della storia ebraica in Europa. Ciò che rende la situazione in Europa unica nella storia è il fatto che l’Europa è diventata assai intollerante delle identità in un ambiente multiculturale e post-nazionalista. Questo nuovo antisemitismo è strettamente collegato a Israele – demonizzazione, delegittimazione e doppi standard – ed è così profondamente nell’animo dei leader politici e intellettuali europei da far sì che ad ogni ebreo venga chiesto di scegliere tra la lealtà a Israele e quella verso l’Europa.

Questa mancanza di sicurezza è dovuta all’immigrazione islamica e alla crescita della destra classica, che vede l’ebreo come «l’altro». L’Europa liberale, intellettuale dove gli ebrei si sentivano storicamente così a loro agio, sta ora chiedendo loro di scegliere tra Israele e «noi». Questi tre fattori ci stanno portando a una situazione in cui un numero senza precedenti di ebrei del mondo libero si stanno trasferendo in Israele. Quest’anno l’1% della comunità ebraica francese farà l’aliyah. Vedo tutto questo come un momento storico – come l’inizio del processo dell’allontanamento degli ebrei dall’Europa.

L’Europa sta abbandonando la sua identità, con l’idea multiculturale che non ci saranno più cose come stati-nazione o religione. Nell’Europa post-identitaria, c’è sempre meno spazio per gli ebrei, per i quali è importante avere sia identità che libertà. In Europa sta diventando più difficile avere entrambe. Ciò che sta avvenendo in Francia sembrerebbe un fenomeno locale, ma non lo è. In Francia il senso di insicurezza a causa dell’immigrazione musulmana, il senso d’insicurezza a causa della crescita dell’antisemitismo della destra classica, e ancora una volta il senso d’insicurezza perché gli intellettuali in Francia stanno diventando più anti-Israele – questi fattori s’incontrano con forza decisamente determinante. L’aliyah dalla Francia è aumentata negli anni. Due anni fa, la nostra festa annuale dell’aliyah, che di solito attrae circa 500 persone, è stata tenuta il giorno dell’elezione. La gente andava a votare e poi veniva alla festa – hanno partecipato 5000 persone. I fattori che hanno contribuito a questo cambiamento non sono emersi solo durante l’anno scorso.

C’è stata una sensazione crescente d’insicurezza che inizia ad essere permanente. Dopo il terribile episodio di Tolosa (nel 2012, quando un uomo armato ha ucciso quattro persone in una scuola ebraica) per esempio, abbiamo ricevuto appelli dalla comunità locale per ricevere aiuto riguardo alla sicurezza e abbiamo istituito un fondo speciale. Ma questo non riguarda un singolo tragico episodio. Per più di 12 anni, rabbini e insegnanti, nelle scuole francesi, hanno detto ai ragazzi ebrei di non uscire in strada indossando la kippah. E questo è qualcosa che neppure i rabbini di Mosca e di Kiev dicono ai ragazzi. Il fatto che tutto questo sia iniziato nel 2003 e nel 2004, durante la Seconda Intifada, indusse a credere che si trattasse di qualcosa di temporaneo. Ma niente è cambiato e niente fa pensare che non sarà così per il futuro. Questa sensazione che l’insicurezza sia ora qualcosa di permanente sta spingendo gli ebrei ad abbandonare la Francia (anche se s’è anche un fattore economico, che mette sotto pressione tutti i giovani francesi, non solo gli ebrei).

Il governo francese fa il massimo possibile per difendere la sicurezza dei suoi cittadini, e in particolare la comunità ebraica. Nel passato, quando ero nel governo israeliano e fui avvisato che un violento antisemitismo veniva trasmesso da Hamas usando i satelliti francesi, il presidente francese fu così scioccato che si rivolse ai tribunali francesi che proibirono la trasmissione. Questo aiuta a prevenire un attacco terroristico o un altro, ma ciò che sta avvenendo in Europa va molto più a fondo. Ho recentemente incontrato l’intellettuale francese Alain Finkielkraut, e gli ho chiesto se c’era un futuro per gli ebrei in Europa. Il suo pessimismo era assi peggiore del mio. Ha messo in dubbio che ci fosse un futuro per l’«Europa» in Europa – per quei valori europei di libertà e identità in questo mondo multiculturale, post-identitario. L’Europa sta abbandonando i suoi valori fondamentali di rispetto delle identità, mentre allo stesso tempo garantisce piena libertà per i suoi cittadini. Da un lato l’Europa apre le porte all’immigrazione, a persone a cui non viene chiesto di condividere i suoi valori di libertà e di tolleranza.

Dall’altro gli europei ritornano velocemente verso i partiti di destra che sono ostili nei confronti dell’«altro». Poi c’è l’«atmosfera intellettuale» che chiede agli ebrei di scegliere tra la loro lealtà a Israele e quella all’Europa. Tutto ciò crea una situazione impossibile per gli ebrei. Questa sensazione di non appartenenza e di disimpegno è molto più forte della sensazione dell’aliyah. Onestamente, non è un nostro problema, ma un problema dell’Europa e di coloro che sono interessati alla civiltà europea e a garantire che i valori europei permangano. Essi devono domandarsi perché ciò sia accadendo: che così tanti ebrei si sentano a disagio in Europa. Che sempre più persone decidano di andare in Israele è senza dubbio connesso alla politica di vecchia data di collegare ogni giovane ebreo a Israele con programmi diversi. Ogni anno, portiamo all’Agenzia ebraica decine di nuovi programmi per incoraggiare quel collegamento.

Così, quando le persone decidono che è il tempo di partire, hanno già impresso nella loro mente l’idea che Israele è parte della loro famiglia. Abbiamo dovuto cambiare il nostro approccio per garantire che tutto il nostro lavoro rafforzasse l’identità ebraica e il legame con la storia, la tradizione, la comunità e lo Stato d’Israele. Si tratta di un unico processo. Se vuoi avere un’aliyah più numerosa, devi avere più ebrei. Laddove c’è la scelta dell’alyiah, le persone devono scegliere liberamente di essere ebrei, di esseri legati alla loro comunità. Non possiamo decidere a nome delle persone dove si fermerà il processo di rafforzamento della loro identità. Alcuni faranno l’aliyah, altri rimarranno nelle loro comunità, alcuni sosterranno Israele, altri si assicureranno che i loro figli crescano come ebrei. Si tratta di un unico processo. La Francia è un buon esempio di questo processo.

C’è stata anche una crescita nell’aliyah da alcune zone dell’Ucraina. Non accade a causa dell’antisemitismo o del governo ucraino.Non c’è una politica antisemita e il governo cerca di cooperare il più possibile con la comunità ebraica. Ma c’è un improvviso vuoto di potere ad est dell’Ucraina dove ancora vivono migliaia di ebrei, e c’è molta violenza, che non è collegata agli ebrei, ma durante la quale salgono alla superficie pregiudizi personali. In questi posti avevamo uno zoccolo duro di persone che non vogliono andare in Israele – l’80% degli ebrei dell’ex Unione Sovietica se ne era già andato – un milione in Israele, un milione negli Stati Uniti, Canada, Australia, Germania etc. e le persone rimaste sono quelle che avevano un forte attaccamento alle loro case. Ma questo gruppo di irriducibili all’improvviso si sente insicuro a causa della violenza, dell’assenza di potere, del pregiudizio – ci sono persone che pensano che gli ebrei sono agenti di Mosca, e quelli che pensano che gli ebrei sono agenti dell’America.

C’è un potenziale pericolo e la reazione immediata è stata la considerazione che forse è giunto il tempo di partire. Ero là quando Birthright (il gruppo che organizza gite di istruzione in Israele per i giovani) nacque e sono stato il suo più grande sostenitore nel governo israeliano. Ad eccezione degli ultra-ortodossi che manterranno la loro identità, tutti gli altri ebrei, che non hanno quel legame con Israele, si assimileranno. Se volete che i vostri nipoti siano ebrei dovete avere una qualche forma di legame con Israele.

Ciò non significa che Israele non debba fare degli sforzi in materia di pluralismo religioso – Israele dovrebbe lavorare per essere più aperto verso tutti i tipi di ebrei – ma non è Israele che impone qualcosa all’ebraismo mondiale. È l’ebraismo mondiale che ha scoperto di avere bisogno d’Israele per avere cura della sua identità ebraica. Allo stesso tempo Israele ha scoperto che era molto importante che il mondo ebraico sostenesse Israele. Il mondo ebraico dipende dallo Stato d’Israele per la sua sopravvivenza e Israele dipende dal mondo ebraico per mobilitare il sostegno nella lotta contro la delegittimazione. Si tratta di una reciproca dipendenza.

L’Europa fu costruita sull’idea degli stati-nazione, della libertà e dell’uguaglianza. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Europa ha deciso che gli stati-nazione erano un problema perché avevano condotto il continente a due guerre. Un esodo degli ebrei dall’Europa sarebbe il primo segno visibile dei profondi cambiamenti in corso. È materia di preoccupazione per me, in quanto apprezzo la civiltà europea – ma non è affare di mia competenza in quanto presidente dell’Agenzia ebraica. È sicuramente materia di competenza dei leader europei, che devono considerare come sono giunti al punto in cui una volta era stata l’Europa ad essere desiderosa di disfarsi di milioni di suoi cittadini – i suoi ebrei – mentre ora sono coloro che restano di quegli ebrei a essere desiderosi di disfarsi dell’Europa. Forse pensano di potere avere più Europa in Israele, perché è Israele che sta lottando per essere sia Stato ebraico che democratico. Israele è il luogo dove si sta lottando per i valori europei. L’Europa morirà qui e sopravvivrà in Israele.

(Estratto da un intervista di Liam Hoare a Nathan Sharansky)

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