Il professore, a lungo docente alla Normale di Pisa, insegna oggi alla University of California di Los Angeles ed è presidente del comitato scientifico del Festival Filosofia di Modena. Le citazioni con cui ha esordito evocano la fatica inutile degli esseri umani alla rincorsa di un’illusione: «Vanitas vanitatum et omnia vanitas» recitano le parole dell’Ecclesiaste. Schopenhauer sostiene che desideriamo sempre ciò che ci manca, e «per un desiderio appagato ne restano dieci insoddisfatti». L’appagamento stesso è di breve durata: una «elemosina gettata al mendico», secondo il filosofo, che ci fa sempre rivolgere al futuro e ignorare la presente. La quale, aggiunge Bodei, «non si ottiene a comando. È tuttavia possibile disporsi all’attesa, pronti a coglierla quando sarà lei a cercarci». Per farlo è utile anzitutto contenere le paure, ricercare una condizione di serenità: «Andare incontro alla vita accettando quello che capiterà. Sapendo però che serenità e felicità non coincidono: quest’ultima è un picco, una tempesta che dura un attimo ma si lega all’idea di eternità, perché in quei momenti è come se il peso del tempo non esistesse». Nella felicità incontriamo noi stessi, «il nodo che noi siamo»: «rendi il cuore / a se stesso – scrive Derek Walcott in una splendida poesia – allo straniero che ti ha amato / per tutta la vita». Ritrovarsi, chiosa Bodei, «è una festa: la speranza di accogliere la parte che ci ha accompagnato come un’ombra apre alla felicità». Vi si associa la consapevolezza che noi siamo un nodo di relazioni, apparentati con gli altri e la natura: «Sentirsi parte di una grande comunità abbassa le pretese di una felicità narcisistica e aiuta ad avere un io espansivo e solidale». Attitudine ancor più necessaria in un’epoca che ha visto esaurirsi un «ciclo bicentenario di pensiero» che ha legato la felicità alla politica: «Si pensava, sbagliando, che rovesciare un ordine sociale ingiusto producesse felicità. In Occidente ora si vive il senso di un declino, c’è una desertificazione del futuro». Per uscirne serve uno sforzo comune, l’impegno a «cambiare i rapporti su cui si regge la nostra convivenza».
Anche la conoscenza sospinge oltre la paura e il dolore. «Platone cerca di dimostrare che la filosofia è la via d’uscita dalla tragicità del vivere: l’esercizio del pensiero aiuta a liberarsi dalla paura». Secondo una radicata tradizione che discende dal Qohelet biblico, «più aumenta la conoscenza, più cresce il dolore». La filosofia degli antichi procede nella direzione opposta: la sofferenza stessa diventa fonte di sapere. «Per i moderni, la felicità è oltrepassare confini sempre più ignoti. È ricercata in questo mondo e non spostata oltre la morte: sempre con la speranza, però, che ciò che abbiamo non sia tutto». Come scrive Borges in «Storia dell’eternità»: «Negare l’eternità, sopportare il vasto annientamento degli anni carichi di città, di fiumi, di gioie, non è meno incredibile che immaginare la loro completa salvazione».
, 8 luglio 2011