Il titolo dell’incontro di Chiari, «Corpo immortale?», era pensato in origine per il biologo Edoardo Boncinelli costretto a rinunciare all’impegno. A riflettere sul tema è stato chiamato Massimo Donà, il quale ha proposto una lettura delle opere di Platone che rimette in discussione la classica contrapposizione tra corpo e anima attribuita al filosofo. Massimo Donà si è laureato con Emanuele Severino. Insegna filosofia teoretica all’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano e il suo ultimo libro, edito da Bompiani, si intitola «Filosofia. Un’avventura senza fine». Il professore è anche un apprezzato musicista: la curatrice del festival, Francesca Nodari, ha anticipato che la prossima edizione l’ospiterà anche in veste di trombettista jazz.
Il dualismo platonico
Donà è dunque partito da Platone: «Abbiamo imparato a scuola che per lui il corpo è la tomba dell’anima, una maledizione della quale si spera di liberarsi. Il Socrate platonico pensa che, superata la soglia della vita, guadagnerà la dimensione della verità. Un dualismo che vede la morte come possibile via di salvezza: morte vivificatrice, opposta a una vita mortifera».
Nietzsche ha messo radicalmente in discussione tale separazione, che «ha deciso i destini di una civiltà, riverberandosi in molte altre dimensioni della cultura. Ad esempio nella polarità vero-falso: la verità è “ciò che sta”, certa e non dubitabile. Abita il mondo delle idee, accessibile solo all’anima, mentre il corpo è legato a un mondo inaffidabile ed erroneo». Per Nietzsche questo è il grande errore dell’Occidente: «Egli suggerisce di tornare alla forma mentis del pensiero tragico, dove corpo e anima non sono dimensioni distinte».
Noi, però, siamo abituati a pensare che «l’abito non fa il monaco», che il corpo inganna e l’essenza è nascosta nell’anima. «Già Hegel sosteneva invece che “l’essenza è l’apparire”, la pura esteriorità. Lui, ancor prima di Nietzsche, ha aperto la possibilità di un pensiero diverso sul corpo». Un pensiero che non coincide con quello, assai «platonico» della scienza: «Gli scienziati pensano a un corpo come macchina: vorrebbero costruire un corpo immortale, che si può aggiustare con pezzi di ricambio. Credono anche loro che il corpo sia un “luogo del male” che va trasfigurato». Ma quando il corpo diverrà immortale come l’anima, sarà quest’ultima a correre il rischio di essere dimenticata: «Si rischia di non sapere più cosa siano le passioni, che spesso e volentieri fanno ammalare il corpo».
L’anima «spazializzata»
È un quadro proposto in molti racconti e film di fantascienza: a un certo punto nasce il desiderio di uscire da un mondo dominato interamente dalla macchina per ritrovare una realtà dove si possa riassaporare quella distinzione tra naturale e artificiale che si era voluto a tutti i costi superare». Siamo però sicuri che Platone e Cartesio – l’altro grande «imputato» del dualismo occidentale – avessero una concezione così schematica della realtà? Donà invita a riconsiderarne il pensiero: «Il corpo è quella realtà che abita lo spazio, ma è anche ciò che disegna lo spazio stesso. Uno spazio si dà solo distinguendo un “di qua” e un “di là”: anche l’anima viene immediatamente spazializzata, se la pensiamo come sfera dell’interiorità. E il corpo è uno spazio fatto di interiorità ed esteriorità».
In esso, l’interiorità svolge un ruolo ben definito: «Quello di vivificare la superficie. Basta guardarsi intorno per capire che far vivere vuol dire muovere: ciò che vive, per noi, è ciò che si muove. L’anima è ciò che ci mette in moto, ci spinge a progetti e azioni. Non è però separata dal corpo: la riconosciamo in esso, si mostra negli sguardi, nei gesti». Ha insomma bisogno del corpo per manifestarsi e protendersi nello spazio: «Perché il corpo è sempre messo in moto verso qualcosa, altri corpi e altre anime».
Con questa visuale, il dualismo scompare: a parlarci dell’immutabile è il movimento, cioè il corpo. «I corpi mutano continuamente, non sono mai uguali a sé, eppure restano sempre riconoscibili. Qui è il paradosso: proprio il mutamento rivela il non mutevole. Il divenire parla sempre di ciò che non muta, mostrandolo come anima del mutevole».
Nicola Rocchi - Giornale di Brescia, 16 luglio 2010