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Domenica, 01 Ottobre 2023 23:15

QUEL «SAPERE» CHE HA SENSO TRASMETTERE

Cosa ce ne facciamo del sapere che abbiamo avuto in sorte? Come lo possiamo trasmettere a chi verrà dopo di noie, soprattutto, possiamo azzardarci a farlo o è meglio che siano i nostri discendenti a scoprire quello che sarà a loro utile e quello che, invece, dovranno accantonare? Sono questi gli interrogativi cruciali che attraversano il denso saggio di Alessandro Carrera, professore di Italian Studies and World Cultures and Literatures alla University of Houston.

Acuto indagatore di un tempo così complesso e di una realtà così poliedrica che la molteplicità e diversità di incarichi ricoperti gli hanno consentito di toccare con mano intervallando spaccati autobiografici con un'analisi accurata di un'era che non sa più cosa sia il sapere, Carrera pare quasi prendere il lettore per mano dando corso, egli stesso, a quel monito che si traduce plasticamente «nel mettersi dalla parte di chi ancora non sa, scendere dalla cattedra, sedersi tra loro, e porsi tutti assieme le domande».

Com'è noto esistono quattro gerarchie del sapere: c'è chi sa di sapere e la sua sapienza è quella degli antichi anziani; c'è chi non sa di sapere come Edipo che aveva solo una vaga idea di avere combinato qualche guaio in famiglia; c'è chi non sa di non sapere e attraversa la sua vita senza che nessuno possa destarlo dalla stupida felicità e infine, socraticamente, c'è chi sa di non sapere. A differenza della scienza che procede instancabilmente verso il suo futuro, il sapere deve essere in grado di fermarsi, di guardarsi indietro, di contemplare le rovine come l'angelo di Benjamin e tornare sui suoi passi se scorge il luccichio di un antico gioiello che ancora irradia luce.

Il sapere inizia insieme all'umanità, ben prima che si formi la nozione di cultura. Sapere e cultura prendono strade distinte, parallele, a volte intersecantesi, a volte divergenti. La cultura può essere giudicata dall'esterno, da un'altra cultura: il sapere è molto più difficile poiché esso incarna anche ciò che resiste alla cultura.

Tessendo una sorta di fenomenologia del sapere, Carrera individua nell'orizzontalità, nel «potere del come» o analogia la decifrazione di un sapere altro, un sapere nongerarchico, la cui prima formulazione fa risalire allo studio della serie dodecafonica, «un'idea che lo stesso Schónberg collega al non c'è né sopra né sotto, né destra né sinistra».

E andando oltre il concetto di «non-contemporaneità» di E. Bloch, invita a prendere sul serio la nozione di compresenza «nello stesso presente, non-ancora-storico, di posizioni e situazioni non confrontabili fra loro e che pure accadono insieme». Non è forse questo il sapere globalizzato? Ciò che Nietzsche chiamava il museo della storia, è oggi il centro commerciale del presente. Dunque «cominciare a pensare non in termini di ciò che è meglio e ciò che è peggio, bensì in termini di come x è anche y, e come y è anche x», non è forse un modo per avvicinarsi ai saperi? In un corpo a corpo con le questioni che attraversano il nostro tempo: dal «colonialismo digitale» ai teorici del postumano ansiosi di disincarnare il corpo approvando l'obsolescenza della nostra soggettività fisica; dalla lotta tra stampa e digitale che, secondo alcuni, sarebbe finita con la morte del libro visione che si è rivelata, almeno in parte, infondata nonostante la concorrenza spietata di pc e tablet fino alla de-semantizzazione del concetto di bello idea di armonia delle parti che la cultura occidentale aveva elaborato da Platone a Gadamer che sembra sempre più fare rima con funzionale, economico, veloce. Si pensi solo alle diverse e distanti vedute di Bill Gates e Steve Jobs che non riuscivano a decidere quanto le informazioni dovessero essere belle o fino a che punto la bellezza dovesse incorporare la conoscenza. Il dato empirico è la via della conoscenza o porta solo a una cattiva infinità, direbbe Platone. Allora l'iperinformazione è sinonimo di disinformazione?

Sì, fa notare Carrera, poiché ottiene due effetti: farci credere a tutto (a qualunque informazione venga diffusa), non farci credere più a nulla (neppure alla più palese verità). Qual è, dunque, oggi la funzio ne dell'insegnante se non quella di «un designer della situazione di apprendimento» - sì, di un deejay della cultura - in grado di passare con facilità dall'ambiente di stampa a quello digitale? Di qui l'articolazione di knowledge design secondo la tripartizione della retorica. Di qui le sfide che pone la cancel culture, un'analisi tracciata con dovizia di particolari e calata soprattutto nella società americana tra le rimostranze di destra e di sinistra fino all'adozione del trigger warning, allarme di attivazione, che l'Autore deve adottare quando avverte i suoi studenti che nei film che farà vedere ci sono scene di violenza contro donne, bambini, anziani, di misoginia, omofobia, etc. dovendoli considerare come «soggetti a rischio, mentre nello stesso tempo - confessa Carrera - pongo me stesso in una posizione di immunità. Può darsi che sia questa lavera dittatura sanitaria di cui a proposito e a sproposito si è parlato durante la pandemia di Covid-19. Non l'obbligo di mascherine, tamponi e vaccini, bensì la riduzione di tutti i rapporti umani a rapporti sanitari».

Da qui allo sprofondare nella tentazione sempre presente di «fare un bellissimo frego» sul sapere ci salva la consapevolezza che l'etica del sapere è dichiararsi portatore di un privilegio, mentre estenderlo a tutti coloro che intendono accedervi è la sua democrazia. La sua crisi, invece, «consiste nella totale incertezza sul potere che conferisce. Il contrario del sapere, infatti, non è la pura e semplice ignoranza, bensì la forza mai domata del sapere=propaganda, pura volontà di potenza in marcia verso la sua infinità».

Alessandro Carrera
Sapere
il Mulino

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