Padre Enzo Bianchi è tra le sorgenti del pensiero e della speranza più amiche e confortanti anche del Festival dei Filosofi lungo l'Oglio di Francesca Nodari, che quest'anno approderà alla diciottesima edizione (diciotto anni: festival maggiorenne e sembrava ieri, piccolo così, preso a sculacciate...).
Padre Bianchi è contento al pensiero di ritornare: «Ci sarò anche quest'anno. Aprirò il Festival di Francesca e dei tanti amici bresciani. Un'iniziativa lungimirante, carica di tensione culturale e umana. Abbiamo così bisogno di stare insieme... Si è sempre accolti da un abbraccio concreto e sincero, direi tutto nostro: donne e uomini di ogni età, nelle chiese e nelle piazze. Ci sarò, di sicuro, se piacerà al Signore...».
Enzo Bianchi, recentemente, ha pubblicato un libro, «Cosa c'è di là. Inno alla vita» (il Mulino, 152 pagine, 15 euro) che dona speranza e, insieme, consegna qualche tremore.
Padre, lei scrive: «Il cammino dell'imparare a vivere è stato il cammino dell'imparare a morire»...
Ho anni sufficienti per comporre un resoconto dell'esistenza. Proprio l'accettare di morire viene dall'esperienza della vita. Nella misura in cui la vita la si ama, si è grati alla vita e si impara, un pochettino, ad accettare la morte. Non tutte le stagioni della vita hanno osservato la morte allo stesso modo e mi pare che qualcosa stia cambiando nel vivere la vita e nel pensare alla morte. C'è un'aria di ricerca, di dimissioni dal panico e dall'indifferenza rispetto alla morte. Cresce, mi pare, uno sguardo composto.
Come si offre e si interpreta oggi la morte?
Abbiamo visto decenni segnati dalla rimozione della morte: la si è spostata, spinta via, non si è voluto vederla. La cosa oscena non è più stato il sensualismo bensì la morte tradotta come uno spettacolo. Per un tempo ci siamo assuefatti alle tragedie del mondo, agli incidenti di ogni genere, alla guerra, come se non ci riguardassero, distanti da noi. Come se la morte non accaduta sulla porta della nostra casa non esistesse. E tuttavia negli ultimi tempi, dopo la pandemia e proprio per la pandemia, per le tante incertezze e per l'infinità della guerra, si sta ritornando Dopo la pandemia e per l'infinità della guerra «si sta ritornando alla questione del limite» alla questione del limite e ci si interroga di più di dieci anni fa, quando regnava una specie di coltre dell'oblio. Lo sento, lo vedo. Sono uno che ascolta e riflette sulle tante domande poste. E molte sono domande intorno alla morte, intorno all'al di là. Prima sembrava di sottostare all'impero dell'indifferenza, ma oggi la morte ritorna, sotto forma di interrogazione. E, certo, di paura. Qualche volta si finisce a dare risposte strane, a dilazionare e dilatare la pauraricorrendo a superstizioni, alla magia. Ma le domande si rincorrono e l'indifferenza viene battuta. Soprattutto le nuove generazioni interrogano sul senso della vita e della fine. E dell'al di là. I giovani se lo chiedono di più. Lo domandano in modo collettivo. Le nuove generazioni chiedono di salvare la Terra e lo chiedono insieme. Immaginano una difesa dalla morte e un'accettazione di essa secondo il patto più cristiano della vita, che accada insieme e non da soli. Che la morte ci raggiunga accompagnati, poiché la vita è stata solidale, non indifferente.
Talvolta pensiamo di essere immortali, spostando la fine sull'altro...
La precarietà del nostro mondo causa molti egoismi. C'è tutto un orizzonte incerto, la guerra, il futuro appare nebbioso e questo crea una certa ansia, si misura il limite del quotidiano. Io rimedito nella solitudine l'ascolto di tanta gente che si allea contro l'isolamento. Parlo della solitudine positiva che è la grande camera in cui si interpreta quanto si è ascoltato tanto da tanti e si scoprono lampi di luce nell'oscurità. Ora vivo a Torino, città non caotica come Milano, non coMonaco e saggista. Enzo Bianchi, presenza abituale ai Filosofi lungo l'Oglio stretta ad essere ogni giorno il motore di ogni vicenda. Sto bene, prego, studio, parto e ritorno da ogni parte del Paese.
Padre Bianchi: immaginiamo un decalogo per superare la riva e passare all'Oltre, senza tremori eccessivi...
Io credo che il decalogo immaginario per vivere la vita e per oltrepassare la morte consista nella comunione con gli altri. Non temeremo se riusciremo a morire accompagnati. Sarà un viaggio più leggero. In un passato non lontano si accompagnava il morto fino alla fine. Quando vivevo al mio paese, ho accompagnato cento morti: lo facevamo tutti insieme e la morte cominciava a perdersi già nel viaggio. E ho accompagnato quattro fratelli nella Comunità della mia vita. Ho detto ad ognuno: «Vai vai, e intanto gli stringevo la mano. Non si deve morire da soli come accadde nella pandemia.
Lei, padre Enzo Bianchi, ha paura della morte?
A volte sì, ci sono momenti di paura. Soprattutto quando si pensa a una morte dopo una malattia pesante e lunga. Spero di no. Auspico una morte corale. Insieme noi riusciamo anche ad attraversare il fuoco e la morte. Insieme. Mai da soli.